LO SCOPO DELLA RICERCA
Premessa:
Attraverso un cammino narrativo fotografico ho cercato di comprendere come lo spazio dell' ex ospedale provinciale psichiatrico di Trieste si sia trasformato nel tempo: dal 1903, data della sua nascita, fino all'avvento di Franco Basaglia nel 1971-1980 ( morte di Basaglia ). Per poi considerare quello che fu l'impatto emotivo, etico, politico e sociale dell'apertura dello stesso manicomio dal 1975 circa fino ai giorni nostri.
Grazie a degli archivi privati e pubblici ho attinto a delle foto del primo 900 e del periodo basagliano ( anni 70 ) e fotografando oggi gli stessi spazi di un tempo ho applicato varie metodologie adatte per la mia ricerca di sociologia visuale. Nell'insieme delle fotografie raccolte si può vedere il cambiamento e
la de-istituzionalizzazione della malattia mentale.
Una cosa che vorrei far notare subito è la mancanza di foto della vita quotidiana degli anni 50-60 dentro il manicomio. Le pessime condizioni di vita del malato lì dentro e quindi la totale segregazione, la violenza fisica e psicologica dell'essere umano hanno reso impossibile l'avvicinarsi della macchina fotografica e dei giornalisti ai padiglioni finanche ai muri di cinta.
E' con gli anni 70, anni di lotte, rivoluzioni politiche, sociali e culturali, che assistiamo all'inizio dell'apertura dei manicomi, alla fine del filo spinato, delle sbarre alle finestre, dell'isolamento dell'essere umano. A Trieste tutto ciò si identifica in Marco Cavallo, animale realmente esistito che rappresentava per i matti di allora l'unico legame con il “ mondo fuori “, un cavallo, ma forse era un mulo, che per gran parte degli anni 60 trainava un carretto con la biancheria sporca e passava da un padiglione all'altro del manicomio.
Marco Cavallo diventò il simbolo della libertà dal manicomio; libertà voluta fortemente da Franco Basaglia.
Gli anni 70 sono gli anni del femminismo, della rivoluzione culturale maoista, dell'affermazione dei movimenti extra-parlamentari che avevano visto nel compromesso storico tra PCI e DC la fine della lotta del proletariato contro la borghesia, la grande imprenditoria italiana. Marco Cavallo stava dalla parte dei diseredati, dei deboli, dei bambini, degli anziani, dei poveri e appunto dei matti.
Nel '77 il manicomio si apre alla città con eventi, convegni di Antipsichiatria, concerti, feste, teatro e varie aggregazioni giovanili. Marco Cavallo esce, si fa conoscere ai triestini e addirittura fa un viaggio a Roma . Il '77-78 è un anno importante per la psichiatria italiana, nonostante sia il periodo più nero e più violento per l'Italia, il 13 maggio del 78 , 4 giorni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, viene approvata la legge Basaglia, una legge che porterà dignità umana alla malattia mentale e sopratutto alla persona.
Premessa:
Attraverso un cammino narrativo fotografico ho cercato di comprendere come lo spazio dell' ex ospedale provinciale psichiatrico di Trieste si sia trasformato nel tempo: dal 1903, data della sua nascita, fino all'avvento di Franco Basaglia nel 1971-1980 ( morte di Basaglia ). Per poi considerare quello che fu l'impatto emotivo, etico, politico e sociale dell'apertura dello stesso manicomio dal 1975 circa fino ai giorni nostri.
Grazie a degli archivi privati e pubblici ho attinto a delle foto del primo 900 e del periodo basagliano ( anni 70 ) e fotografando oggi gli stessi spazi di un tempo ho applicato varie metodologie adatte per la mia ricerca di sociologia visuale. Nell'insieme delle fotografie raccolte si può vedere il cambiamento e
la de-istituzionalizzazione della malattia mentale.
Una cosa che vorrei far notare subito è la mancanza di foto della vita quotidiana degli anni 50-60 dentro il manicomio. Le pessime condizioni di vita del malato lì dentro e quindi la totale segregazione, la violenza fisica e psicologica dell'essere umano hanno reso impossibile l'avvicinarsi della macchina fotografica e dei giornalisti ai padiglioni finanche ai muri di cinta.
E' con gli anni 70, anni di lotte, rivoluzioni politiche, sociali e culturali, che assistiamo all'inizio dell'apertura dei manicomi, alla fine del filo spinato, delle sbarre alle finestre, dell'isolamento dell'essere umano. A Trieste tutto ciò si identifica in Marco Cavallo, animale realmente esistito che rappresentava per i matti di allora l'unico legame con il “ mondo fuori “, un cavallo, ma forse era un mulo, che per gran parte degli anni 60 trainava un carretto con la biancheria sporca e passava da un padiglione all'altro del manicomio.
Marco Cavallo diventò il simbolo della libertà dal manicomio; libertà voluta fortemente da Franco Basaglia.
Gli anni 70 sono gli anni del femminismo, della rivoluzione culturale maoista, dell'affermazione dei movimenti extra-parlamentari che avevano visto nel compromesso storico tra PCI e DC la fine della lotta del proletariato contro la borghesia, la grande imprenditoria italiana. Marco Cavallo stava dalla parte dei diseredati, dei deboli, dei bambini, degli anziani, dei poveri e appunto dei matti.
Nel '77 il manicomio si apre alla città con eventi, convegni di Antipsichiatria, concerti, feste, teatro e varie aggregazioni giovanili. Marco Cavallo esce, si fa conoscere ai triestini e addirittura fa un viaggio a Roma . Il '77-78 è un anno importante per la psichiatria italiana, nonostante sia il periodo più nero e più violento per l'Italia, il 13 maggio del 78 , 4 giorni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, viene approvata la legge Basaglia, una legge che porterà dignità umana alla malattia mentale e sopratutto alla persona.
ASPETTI METODOLOGICI
Fra i metodi utilizzati per la mia ricerca di sociologia visuale, ho applicato quello della foto-intervista comprendente la tecnica della ri-fotografia e della foto-stimolo cercando di mettere in evidenza da una parte il cambiamento dello spazio esterno dell'ex manicomio e dall'altra come si è trasformato in termini di contenitore, di significante per la malattia mentale e quindi come questa sia potuta essere accettata e tollerata dalla città di Trieste.
In questo modo ho diviso le foto-interviste in due parti : nella prima, comprendente le prime 13 foto ho chiesto agli intervistati di parlarmi dei cambiamenti avvenuti a livello spazio-tempo dell' ex Opp, la seconda, invece, comprendente 6 foto, riguardava prettamente l'ambito storico-emozionale, in riferimento alla figura di Franco Basaglia, del simbolo di Marco Cavallo e dell'apertura del manicomio. La fase finale di ogni intervista è stata poi caratterizzata da una riflessione in merito all'impatto che ha avuto l'apertura del manicomio a Trieste.
Ho intervistato 7 persone.
Boris Fernettich, età: 65 anni, nato a Trieste, in pensione. Prima faceva l'infermiere psichiatrico, ha lavorato nell'ex opp dal 1973 al 1992
Aldo Di Bella, età: 60 anni, nato a Roma, a Trieste dal 1977. E' operatore sociale, lavora presso l'ex opp, prima come volontario, dal 1977.
Francesca Varsori, età: 47 anni, nata a Treviso, a Trieste dal 1996. E' attrice teatrale, regista e formatrice ; ha lavorato all'ex opp dal 1996 al 2004 presso l'Accademia della Follia di Claudio Misculin.
Matteo Antonante, età: 36 anni, nato a Trieste. Laureato in lettere è operatore sociale dal 2006 presso una Coop Sociale di Trieste che ha in appalto alcuni servizi presenti dentro l'ex opp.
Fabio Prenc, età: 49 anni, nato a Trieste. Editore.
Francesco De Pellegrin età: 35 anni, nato a Trieste. E' assistente anziani.
Francesca Scarmignan età: 27 anni, nata a Este, a Trieste da due anni. Studentessa universitaria e consulente editoriale .
Come si può notare, la scelta del profilo degli intervistati ha tenuto conto di chi ha lavorato o lavora, e di chi non ha mai lavorato all'ex ospedale psichiatrico di Trieste.
Foto-intervista:
Nel considerare la mia ricerca visuale attraverso la foto-intervista parto dall'idea che per ripristinare una certa memoria storica siano fondamentali le fotografie ( Harper ), non solo, si tratta poi di cogliere identità e relazioni sociali dove le stesse foto sono oggetti visuali ( Rose ). Così alle domande verbali, nella foto-intervista, si sostituiscono le fotografie.
Ri-fotografia:
Per alcune foto è stato necessario utilizzare la ri-fotografia che è servita per evidenziare i vari cambiamenti storici- sociali e spazio-tempo nell'ambito dello luogo di ricerca creando altre chiavi d'interpretazione e di significati rispetto al vissuto personale e sociale dei soggetti intervistati.
Foto-stimolo:
La polisemia delle immagini ha dato inoltre slancio alle interpretazioni personali sopratutto da un p.d.v. emozionale-emotivo ed evocativo-poetico che ha permesso agli intervistati quasi di creare una produzione soggettiva di immagini, seppur verbale, propria.
La ricerca visuale sulle immagini e con le immagini rispetto ai cambiamenti che ha subito l'ex opp di Trieste ha messo in risalto come le trasformazioni socio-culturali avvenute negli ultimi cento anni hanno influenzato molto le concezioni “ noi “ e gli “ altri “, luogo chiuso, luogo aperto: l' uscire fuori o l'entrare dentro; modificando in parte il luogo comune sulla malattia mentale e il pregiudizio sul 'matto'. Gli stessi intervistati durante la “ camminata fotografica “ evidenziano l'importanza dell'apertura del manicomio e le criticità legate al periodo basagliano e post-basagliano dove tutto non è più come prima, gli stessi edifici dell'ex opp ne sono una prova evidente.
Fra i metodi utilizzati per la mia ricerca di sociologia visuale, ho applicato quello della foto-intervista comprendente la tecnica della ri-fotografia e della foto-stimolo cercando di mettere in evidenza da una parte il cambiamento dello spazio esterno dell'ex manicomio e dall'altra come si è trasformato in termini di contenitore, di significante per la malattia mentale e quindi come questa sia potuta essere accettata e tollerata dalla città di Trieste.
In questo modo ho diviso le foto-interviste in due parti : nella prima, comprendente le prime 13 foto ho chiesto agli intervistati di parlarmi dei cambiamenti avvenuti a livello spazio-tempo dell' ex Opp, la seconda, invece, comprendente 6 foto, riguardava prettamente l'ambito storico-emozionale, in riferimento alla figura di Franco Basaglia, del simbolo di Marco Cavallo e dell'apertura del manicomio. La fase finale di ogni intervista è stata poi caratterizzata da una riflessione in merito all'impatto che ha avuto l'apertura del manicomio a Trieste.
Ho intervistato 7 persone.
Boris Fernettich, età: 65 anni, nato a Trieste, in pensione. Prima faceva l'infermiere psichiatrico, ha lavorato nell'ex opp dal 1973 al 1992
Aldo Di Bella, età: 60 anni, nato a Roma, a Trieste dal 1977. E' operatore sociale, lavora presso l'ex opp, prima come volontario, dal 1977.
Francesca Varsori, età: 47 anni, nata a Treviso, a Trieste dal 1996. E' attrice teatrale, regista e formatrice ; ha lavorato all'ex opp dal 1996 al 2004 presso l'Accademia della Follia di Claudio Misculin.
Matteo Antonante, età: 36 anni, nato a Trieste. Laureato in lettere è operatore sociale dal 2006 presso una Coop Sociale di Trieste che ha in appalto alcuni servizi presenti dentro l'ex opp.
Fabio Prenc, età: 49 anni, nato a Trieste. Editore.
Francesco De Pellegrin età: 35 anni, nato a Trieste. E' assistente anziani.
Francesca Scarmignan età: 27 anni, nata a Este, a Trieste da due anni. Studentessa universitaria e consulente editoriale .
Come si può notare, la scelta del profilo degli intervistati ha tenuto conto di chi ha lavorato o lavora, e di chi non ha mai lavorato all'ex ospedale psichiatrico di Trieste.
Foto-intervista:
Nel considerare la mia ricerca visuale attraverso la foto-intervista parto dall'idea che per ripristinare una certa memoria storica siano fondamentali le fotografie ( Harper ), non solo, si tratta poi di cogliere identità e relazioni sociali dove le stesse foto sono oggetti visuali ( Rose ). Così alle domande verbali, nella foto-intervista, si sostituiscono le fotografie.
Ri-fotografia:
Per alcune foto è stato necessario utilizzare la ri-fotografia che è servita per evidenziare i vari cambiamenti storici- sociali e spazio-tempo nell'ambito dello luogo di ricerca creando altre chiavi d'interpretazione e di significati rispetto al vissuto personale e sociale dei soggetti intervistati.
Foto-stimolo:
La polisemia delle immagini ha dato inoltre slancio alle interpretazioni personali sopratutto da un p.d.v. emozionale-emotivo ed evocativo-poetico che ha permesso agli intervistati quasi di creare una produzione soggettiva di immagini, seppur verbale, propria.
La ricerca visuale sulle immagini e con le immagini rispetto ai cambiamenti che ha subito l'ex opp di Trieste ha messo in risalto come le trasformazioni socio-culturali avvenute negli ultimi cento anni hanno influenzato molto le concezioni “ noi “ e gli “ altri “, luogo chiuso, luogo aperto: l' uscire fuori o l'entrare dentro; modificando in parte il luogo comune sulla malattia mentale e il pregiudizio sul 'matto'. Gli stessi intervistati durante la “ camminata fotografica “ evidenziano l'importanza dell'apertura del manicomio e le criticità legate al periodo basagliano e post-basagliano dove tutto non è più come prima, gli stessi edifici dell'ex opp ne sono una prova evidente.
Analisi dello spazio dell'Ex Opp di Trieste ( dalla foto 1 alla foto 13 )
Ex opp di Trieste: eterotopia del '900.
Lo spazio dell' ex opp di Trieste trova molte analogie nel pensiero di Foucault rispetto al significato del termine “eterotopia”. Nel suo libro “ Le parole e le cose” troviamo la seguente definizione: “Le eterotopie sono quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano (…). Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz'altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzitempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme»…le parole e le cose.”
Una cosa che si può notare dalle interviste svolte rispetto alle prime 13 foto è l'unione del significato del termine “follia” con il luogo del manicomio e come questi due termini si modifichino nel tempo in seguito anche e sopratutto alla trasformazione (per Boris) e/o rivoluzione (per Francesca) dovute a Franco Basaglia. Come fa notare Matteo, il luogo del manicomio dopo gli anni 90 è diventato un non-luogo pur mantenendo nel significante il contenitore del sociale e del sanitario (gli edifici delle dipendenze -S.E.R.T. , Alcolisti Anonimi- e gli edifici del dipartimento di salute mentale oltre a qualche ' casetta ' per i residuati manicomiali e la Casa di Riposo Gregoretti.)
Francesca evidenzia questo non luogo, il non-manicomio, col fatto che il passaggio dall'Usl all'Azienda Sanitaria ha portato una disumanizzazione dei luoghi e degli spazi dell'ex opp che negli anni 90 erano aperti ai volontari e a persone creative che si presentavano alla struttura con progetti di teatro e altri laboratori. E' sintomatico che Francesca evidenzi questa disumanizzazione col fatto che le porte un tempo rimanevano sempre aperte e che poi con il cambio di gestione hanno iniziato a seguire un orario di ufficio con conseguente chiusura a chiave delle strutture.
Aldo e Boris vengono da una esperienza più istituzionalizzata del periodo basagliano e non accennano quasi mai alla mancanza della memoria negli ambiti delle strutture ri-vitalizzate. Lo stesso Fabio che non ha mai lavorato nell'ambito del sociale ma che fu molto colpito dall'apertura del manicomio, per i vari “sentito dire” e per il fatto che lui era adolescente ed era un po' timoroso di questi matti che giravano per Trieste, parla del luogo come uno spazio non più isolato ma vitalizzato. Tuttavia fanno notare sia Matteo che Francesca che, pur essendoci stato un cambiamento in meglio nel passaggio da manicomio a Parco di San Giovanni, il luogo è sospeso, quasi inaridito per mancanza di “memoria storica”. Francesca stessa amaramente si sente cancellata rispetto al suo operato di attrice con i matti. Matteo dice che non c'è nemmeno un museo che ricordi quello che è stato, e che se fosse un cittadino normale farebbe fatica a capire cosa è il Parco di San Giovanni e cosa è stato il manicomio. Francesca S, studentessa conferma la sua non conoscenza del Parco, è vero che vive da poco a Trieste ma non si immaginava che quel Parco così accogliente fosse stato un manicomio. Francesco evidenzia con la frase : “Uscire dentro, entrare fuori” come non solo lo spazio e il tempo sono sospesi entrando nel Parco di San Giovanni, ma che anche la mancanza di memoria storica (una scritta, uno spazio adibito al ricordo del manicomio) rendono l'ex manicomio un luogo bucolico. Addirittura quasi tutti i soggetti intervistati faticano ad individuare nella terza foto il periodo e a capire se i soggetti sono in posa o stanno veramente camminando per prendere una boccata d'aria. Ma anche loro alla fine risultano senza tempo, come senza tempo sembrano le interviste di Boris, infermiere in pensione e Aldo, operatore sociale, loro stessi a rappresentare la memoria e la storia di ciò che è stato il periodo basagliano, pre-basagliano e con Aldo anche post-basagliano. Mentre Boris è fervido nei suoi ricordi, perchè ha vissuto totalmente la trasformazione del manicomio, vivendo anche una fase precedente a Basaglia, Aldo è melanconico, arriva quando le cose sono quasi cambiate e sono in movimento. Questa è l'unica memoria che l' ex opp ci dà. Francesca invece rappresenta quella memoria che è rimasta non solo incompleta, ma che anche è stata cancellata perchè più rivoluzionaria che in trasformazione come quella di Boris. E' come se vivendo il periodo post-basagliano in realtà si fosse tornati indietro nel momento in cui le strutture vengono messe a nuovo, cancellando il passato o arredandole in modo asettico. Francesca stava vivendo il cambiamento grazie a quel periodo basagliano, quello meno istituzionalizzato seppur de-istituzionalizzato ma più “trasgressivo” (si noti la mancanza di chiusure delle palazzine). La mancanza di memoria storica visuale nello stesso ex opp è come una seconda chiusura, non solo del manicomio e della follia, ma anche con un passato chiuso fuori dal portone di entrata, per essere dimenticato.
Ex opp di Trieste: eterotopia del '900.
Lo spazio dell' ex opp di Trieste trova molte analogie nel pensiero di Foucault rispetto al significato del termine “eterotopia”. Nel suo libro “ Le parole e le cose” troviamo la seguente definizione: “Le eterotopie sono quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano (…). Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz'altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzitempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme»…le parole e le cose.”
Una cosa che si può notare dalle interviste svolte rispetto alle prime 13 foto è l'unione del significato del termine “follia” con il luogo del manicomio e come questi due termini si modifichino nel tempo in seguito anche e sopratutto alla trasformazione (per Boris) e/o rivoluzione (per Francesca) dovute a Franco Basaglia. Come fa notare Matteo, il luogo del manicomio dopo gli anni 90 è diventato un non-luogo pur mantenendo nel significante il contenitore del sociale e del sanitario (gli edifici delle dipendenze -S.E.R.T. , Alcolisti Anonimi- e gli edifici del dipartimento di salute mentale oltre a qualche ' casetta ' per i residuati manicomiali e la Casa di Riposo Gregoretti.)
Francesca evidenzia questo non luogo, il non-manicomio, col fatto che il passaggio dall'Usl all'Azienda Sanitaria ha portato una disumanizzazione dei luoghi e degli spazi dell'ex opp che negli anni 90 erano aperti ai volontari e a persone creative che si presentavano alla struttura con progetti di teatro e altri laboratori. E' sintomatico che Francesca evidenzi questa disumanizzazione col fatto che le porte un tempo rimanevano sempre aperte e che poi con il cambio di gestione hanno iniziato a seguire un orario di ufficio con conseguente chiusura a chiave delle strutture.
Aldo e Boris vengono da una esperienza più istituzionalizzata del periodo basagliano e non accennano quasi mai alla mancanza della memoria negli ambiti delle strutture ri-vitalizzate. Lo stesso Fabio che non ha mai lavorato nell'ambito del sociale ma che fu molto colpito dall'apertura del manicomio, per i vari “sentito dire” e per il fatto che lui era adolescente ed era un po' timoroso di questi matti che giravano per Trieste, parla del luogo come uno spazio non più isolato ma vitalizzato. Tuttavia fanno notare sia Matteo che Francesca che, pur essendoci stato un cambiamento in meglio nel passaggio da manicomio a Parco di San Giovanni, il luogo è sospeso, quasi inaridito per mancanza di “memoria storica”. Francesca stessa amaramente si sente cancellata rispetto al suo operato di attrice con i matti. Matteo dice che non c'è nemmeno un museo che ricordi quello che è stato, e che se fosse un cittadino normale farebbe fatica a capire cosa è il Parco di San Giovanni e cosa è stato il manicomio. Francesca S, studentessa conferma la sua non conoscenza del Parco, è vero che vive da poco a Trieste ma non si immaginava che quel Parco così accogliente fosse stato un manicomio. Francesco evidenzia con la frase : “Uscire dentro, entrare fuori” come non solo lo spazio e il tempo sono sospesi entrando nel Parco di San Giovanni, ma che anche la mancanza di memoria storica (una scritta, uno spazio adibito al ricordo del manicomio) rendono l'ex manicomio un luogo bucolico. Addirittura quasi tutti i soggetti intervistati faticano ad individuare nella terza foto il periodo e a capire se i soggetti sono in posa o stanno veramente camminando per prendere una boccata d'aria. Ma anche loro alla fine risultano senza tempo, come senza tempo sembrano le interviste di Boris, infermiere in pensione e Aldo, operatore sociale, loro stessi a rappresentare la memoria e la storia di ciò che è stato il periodo basagliano, pre-basagliano e con Aldo anche post-basagliano. Mentre Boris è fervido nei suoi ricordi, perchè ha vissuto totalmente la trasformazione del manicomio, vivendo anche una fase precedente a Basaglia, Aldo è melanconico, arriva quando le cose sono quasi cambiate e sono in movimento. Questa è l'unica memoria che l' ex opp ci dà. Francesca invece rappresenta quella memoria che è rimasta non solo incompleta, ma che anche è stata cancellata perchè più rivoluzionaria che in trasformazione come quella di Boris. E' come se vivendo il periodo post-basagliano in realtà si fosse tornati indietro nel momento in cui le strutture vengono messe a nuovo, cancellando il passato o arredandole in modo asettico. Francesca stava vivendo il cambiamento grazie a quel periodo basagliano, quello meno istituzionalizzato seppur de-istituzionalizzato ma più “trasgressivo” (si noti la mancanza di chiusure delle palazzine). La mancanza di memoria storica visuale nello stesso ex opp è come una seconda chiusura, non solo del manicomio e della follia, ma anche con un passato chiuso fuori dal portone di entrata, per essere dimenticato.
Analisi dell' Ex Opp di Trieste II^parte ( dalla foto 14 alla foto 19 )
Ex Opp di Trieste: Biopotere, biopolitica
“Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte” ( Michel Foucault )
Per Foucault la biopolitica è il terreno in cui agiscono le pratiche con le quali la rete di poteri gestisce le discipline del corpo e le regolazioni delle popolazioni. È un'area d'incontro tra potere e sfera della vita.
I soggetti intervistati rispetto alla seconda parte della ricerca ( il periodo basagliano ) mettono in evidenza come la figura di Basaglia e il suo simbolo: Marco Cavallo, abbiano rappresentato per un periodo di circa 30 anni, il tentativo di resistere ad un determinato tipo di potere: il biopotere appunto. Questo controlla l'essere umano attraverso l'eterotopie quotidiane come il carcere, la casa di riposo, e appunto il manicomio. Nonostante il viso buono, sereno e un po' matto di Basaglia abbia permesso con la sua tranquillità e sensibilità umana di fare implodere il sistema manicomiale, e di farsi voce attraverso Marco Cavallo delle lotte di emancipazione femminile, culturale ed etica , il biopotere politico-sociale degli anni 80-90 ha impedito la rivendicazione ' completa ' della vita con i suoi desideri e i suoi bisogni.
Foucault continua:
“Il biopotere è potere sulla vita ( … ) dove il controllo delle condizioni della vita umana diventa un affare politico. Si rovescia la vecchia simbologia del potere, legato al sangue e al diritto di morte, in una nuova, in cui il potere garantisce la vita. In questo modo il potere, più di prima, ha accesso al corpo. Il 900 mostra che ( … ) nella storia la politica mette in gioco la vita delle persone. Conseguenza dell'irruzione del biopotere è che la legge concede spazio alla norma: la struttura rigida della legge permette di minacciare la morte, ma la norma è più adatta a codificare la vita. Per questo il Liberalismo è il quadro politico che fa da sfondo alla biopolitica. In questo, secondo Foucault, si inserisce l'azione di resistenza al potere: rivendicare la vita, piena, non alienata, la soddisfazione dei bisogni e dei desideri, la salute e la felicità. “
Per Mirzoeff la resistenza al potere può avvenire grazie alla visualità che è guerra contro il biopotere.
La malattia mentale rinchiusa in manicomio come la schiavitù, al tempo del colonialismo, era la rimozione del diritto di guardare. E Basaglia ha ridato questo diritto. Come continua a dire Mirzoeff, se il subalterno guarda, in questo caso il matto, è una provocazione, quasi un senso di paura per chi sta fuori, diventa un riflesso della propria esistenza e così non può esserci reciprocità. Fabio in questa parte dell'intervista parla di questa paura, dei suoi timori da adolescente degli anni 70 e di quelle degli altri triestini che per sentito dire sembra che i matti una volta fuori saranno violenti e defecheranno per strada. E così il diritto di guardare è di chi alzando lo sguardo, non solo non accetta la limitazione di chi guarda dentro, ma cancella il pregiudizio e il luogo comune della malattia mentale.
Chi esce fuori dal manicomio con lo sguardo crea dissenso verso la visualità del potere che ' entra fuori ' per ' uscire dentro: una dicotomia dell'esistenza, dove il diritto alla realtà è dato dal diritto di guardare per uscire e dal diritto di discutere di ciò che è e deve essere visibile.
Boris e Aldo parlando del simbolo della rivoluzione basagliana: Marco Cavallo, mettono in risalto come il diritto di guardare da parte di chi è sempre stato internato venga portato in giro per la città nonostante i timori pensati dai triestini chiusi fuori dal manicomio e dalle paure di chi è stato “chiuso dentro”. Questa è la grandezza dell'uomo e medico Basaglia.
Francesca S pur non riconoscendo Basaglia dalla foto, esprime l'idea politica che per quanto ci sia stato un cambiamento in realtà sembra che questo non sia avvenuto a tal punto che l'ultima foto ( quella dei letti ) sembra solo una spettacolarizzazione dell'apertura del manicomio. Dello stesso parere sono Matteo e Francesco il quale nonostante dalla scritta: “ La libertà è terapeutica “ a loro dire, ne tragga beneficio la città tutta, in realtà tutto resta ' avvolto ' nel disagio, nella tensione, nella sospensione dello spazio manicomiale diventato un parco dove poche persone lo frequentano: gli addetti ai lavori; risultando essere più presenti le auto e l'asfalto delle strade che la gente stessa ( cit. Francesca attrice ), mentre gli edifici ristrutturati mantengono quell'alone di solitudine che era presente anche durante il manicomio funzionante. Sembra che il passato del potere manicomiale non se ne sia mai andato, viene cancellato invece quel passato che ha tentato di scardinare il biopotere, e quella politica del contenimento e del controllo che non ha avuto il coraggio di dedicare una via o una piazza al medico dei matti, preferendo il suo ricordo concessoli con il nome ad un teatro nascosto dentro il parco di San Giovanni, piuttosto che la memoria visuale di una via o una piazza dove tutti avrebbero avuto il diritto di guardare e ricordare chi era Basaglia e cosa ha fatto.
Ex Opp di Trieste: Biopotere, biopolitica
“Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte” ( Michel Foucault )
Per Foucault la biopolitica è il terreno in cui agiscono le pratiche con le quali la rete di poteri gestisce le discipline del corpo e le regolazioni delle popolazioni. È un'area d'incontro tra potere e sfera della vita.
I soggetti intervistati rispetto alla seconda parte della ricerca ( il periodo basagliano ) mettono in evidenza come la figura di Basaglia e il suo simbolo: Marco Cavallo, abbiano rappresentato per un periodo di circa 30 anni, il tentativo di resistere ad un determinato tipo di potere: il biopotere appunto. Questo controlla l'essere umano attraverso l'eterotopie quotidiane come il carcere, la casa di riposo, e appunto il manicomio. Nonostante il viso buono, sereno e un po' matto di Basaglia abbia permesso con la sua tranquillità e sensibilità umana di fare implodere il sistema manicomiale, e di farsi voce attraverso Marco Cavallo delle lotte di emancipazione femminile, culturale ed etica , il biopotere politico-sociale degli anni 80-90 ha impedito la rivendicazione ' completa ' della vita con i suoi desideri e i suoi bisogni.
Foucault continua:
“Il biopotere è potere sulla vita ( … ) dove il controllo delle condizioni della vita umana diventa un affare politico. Si rovescia la vecchia simbologia del potere, legato al sangue e al diritto di morte, in una nuova, in cui il potere garantisce la vita. In questo modo il potere, più di prima, ha accesso al corpo. Il 900 mostra che ( … ) nella storia la politica mette in gioco la vita delle persone. Conseguenza dell'irruzione del biopotere è che la legge concede spazio alla norma: la struttura rigida della legge permette di minacciare la morte, ma la norma è più adatta a codificare la vita. Per questo il Liberalismo è il quadro politico che fa da sfondo alla biopolitica. In questo, secondo Foucault, si inserisce l'azione di resistenza al potere: rivendicare la vita, piena, non alienata, la soddisfazione dei bisogni e dei desideri, la salute e la felicità. “
Per Mirzoeff la resistenza al potere può avvenire grazie alla visualità che è guerra contro il biopotere.
La malattia mentale rinchiusa in manicomio come la schiavitù, al tempo del colonialismo, era la rimozione del diritto di guardare. E Basaglia ha ridato questo diritto. Come continua a dire Mirzoeff, se il subalterno guarda, in questo caso il matto, è una provocazione, quasi un senso di paura per chi sta fuori, diventa un riflesso della propria esistenza e così non può esserci reciprocità. Fabio in questa parte dell'intervista parla di questa paura, dei suoi timori da adolescente degli anni 70 e di quelle degli altri triestini che per sentito dire sembra che i matti una volta fuori saranno violenti e defecheranno per strada. E così il diritto di guardare è di chi alzando lo sguardo, non solo non accetta la limitazione di chi guarda dentro, ma cancella il pregiudizio e il luogo comune della malattia mentale.
Chi esce fuori dal manicomio con lo sguardo crea dissenso verso la visualità del potere che ' entra fuori ' per ' uscire dentro: una dicotomia dell'esistenza, dove il diritto alla realtà è dato dal diritto di guardare per uscire e dal diritto di discutere di ciò che è e deve essere visibile.
Boris e Aldo parlando del simbolo della rivoluzione basagliana: Marco Cavallo, mettono in risalto come il diritto di guardare da parte di chi è sempre stato internato venga portato in giro per la città nonostante i timori pensati dai triestini chiusi fuori dal manicomio e dalle paure di chi è stato “chiuso dentro”. Questa è la grandezza dell'uomo e medico Basaglia.
Francesca S pur non riconoscendo Basaglia dalla foto, esprime l'idea politica che per quanto ci sia stato un cambiamento in realtà sembra che questo non sia avvenuto a tal punto che l'ultima foto ( quella dei letti ) sembra solo una spettacolarizzazione dell'apertura del manicomio. Dello stesso parere sono Matteo e Francesco il quale nonostante dalla scritta: “ La libertà è terapeutica “ a loro dire, ne tragga beneficio la città tutta, in realtà tutto resta ' avvolto ' nel disagio, nella tensione, nella sospensione dello spazio manicomiale diventato un parco dove poche persone lo frequentano: gli addetti ai lavori; risultando essere più presenti le auto e l'asfalto delle strade che la gente stessa ( cit. Francesca attrice ), mentre gli edifici ristrutturati mantengono quell'alone di solitudine che era presente anche durante il manicomio funzionante. Sembra che il passato del potere manicomiale non se ne sia mai andato, viene cancellato invece quel passato che ha tentato di scardinare il biopotere, e quella politica del contenimento e del controllo che non ha avuto il coraggio di dedicare una via o una piazza al medico dei matti, preferendo il suo ricordo concessoli con il nome ad un teatro nascosto dentro il parco di San Giovanni, piuttosto che la memoria visuale di una via o una piazza dove tutti avrebbero avuto il diritto di guardare e ricordare chi era Basaglia e cosa ha fatto.
Entrata al Parco di San Giovanni: ex Ospedale Psichiatrico Provinciale di Trieste.
Boris: “ Nel 1973 il portone era per chi lavorava o chi andava a trovare gli utenti, negli archi c'erano i gabbiotti con i guardiani. Anche nella parte alta del parco c'è un'entrata che allora si chiudeva alle 22. Questo era proprio un portone di chiusura adesso è una strada di passaggio e dentro oggi ci sono università , bar e laboratori vari, l'apertura del manicomio non è avvenuta subito e non è stata facile. I reparti hanno iniziato a svuotarsi tra il 75 e l'81 facendo nascere i Cim ( Centri d'igiene mentale ), abbiamo riportato i pazienti a casa loro. E furono creati gruppi appartamento in città. L' opp all'interno fu suddiviso in 5 zone. “
Aldo: “ Io sono di Roma e sono arrivato a Trieste nel 1977 come volontario, non ricordo cosa c'era in quegli anni nelle arcate che si vedono nella foto penso fossero vuote, anche perchè in quegli anni si stava smantellando l'ospedale che venne diviso in 5 zone , chi viveva dentro si distingueva non più per diagnosi e comportamenti ma per la zona da cui proveniva, ricordo però poi nel 1995 che dentro le arcate venne allestita una frutta e verdura gestita dalla coop Monte San Pantaleone, è durata un annetto circa perchè non reggeva il mercato economico della zona. Il posto era aperto comunque alla cittadinanza e così l'ormai vecchio manicomio. “
Francesca: “ Ho iniziato a frequentare l'ex opp e a varcare questa entrata dal 1996 al 2004, ricordo che nelle arcate non c'era niente, un po' è cambiata la zona circostante dove sulla destra stavano costruendo, poi vedo la fermata del bus che è stata messa dopo il 2000, forse dopo che ero andata via io nel 2004. La fermata è stata messa quando l'Usl è diventata Azienda Sanitaria cioè quando entrò l'idea aziendale per i servizi alla persona così si tiene conto più dell'aspetto economico e meno o in modo diverso di chi riceve il servizio, cioè della persona.”
Matteo: “ E' l'entrata dell'ex opp, dalla parte bassa del parco. E' diventata un'entrata di passaggio, di chi ci lavora e di chi usufruisce dei servizi interni: Sert, alcolisti anonimi e dipartimento di salute mentale. Non so chi è di passaggio se conosce la storia dell'ex manicomio, ancora oggi si fanno comunque feste o eventi e il luogo è frequentato dalle persone, si organizzano anche convegni. Ci sono ancora abitanti dentro, anziani di una casa di riposo e qualche residuo manicomiale. E' luogo che mantiene delle tracce assai flebili della rivoluzione basagliana. Varcando la porta di questo spazio ti rendi conto che ciò che è all'interno non ha più senso di essere, se vai oltre ti senti quasi sospeso nel tempo. “
Fabio: “ L'ingresso dell'opp. Fin quando ero bambino e poi da giovane per me il motto è sempre stato: “ Lasciate ogni speranza a voi che entrate... “ poi per tutte le attività che sono state fatte dagli anni 70 in poi lo vivo in modo diverso. Per me è una parte della città che prima era chiusa, la novità sta nell'autobus che ha portato quella parte della città a far parte della città “.
Francesco: “ L'entrata principale. L'ho sempre vista come linea di confine su via San Cilino, rappresentava l'idea di quello che c'era dentro e quello che c'era fuori, insomma una divisione netta. Tuttora da l'idea di un'entrata in un altro posto, però conosco di più l'uscita nella parte alta del parco perchè la frequento a volte quando fanno eventi o concerti. Fa un certo effetto entrare dentro , dà l'idea di un mondo a parte, separato. Rispetto all'ingresso a sinistra hanno rifatto le case che prima erano un po' dismesse. “
Francesca S. : “ Mi sembra uno spazio utilizzato ma abbastanza trascurato credo sia in zona urbana ma non centrale, presenza di verde. E' una zona residenziale e poco di passaggio. L'edificio all'interno è poco visibile ma si capisce che è un luogo di lavoro."
Boris: “ Nel 1973 il portone era per chi lavorava o chi andava a trovare gli utenti, negli archi c'erano i gabbiotti con i guardiani. Anche nella parte alta del parco c'è un'entrata che allora si chiudeva alle 22. Questo era proprio un portone di chiusura adesso è una strada di passaggio e dentro oggi ci sono università , bar e laboratori vari, l'apertura del manicomio non è avvenuta subito e non è stata facile. I reparti hanno iniziato a svuotarsi tra il 75 e l'81 facendo nascere i Cim ( Centri d'igiene mentale ), abbiamo riportato i pazienti a casa loro. E furono creati gruppi appartamento in città. L' opp all'interno fu suddiviso in 5 zone. “
Aldo: “ Io sono di Roma e sono arrivato a Trieste nel 1977 come volontario, non ricordo cosa c'era in quegli anni nelle arcate che si vedono nella foto penso fossero vuote, anche perchè in quegli anni si stava smantellando l'ospedale che venne diviso in 5 zone , chi viveva dentro si distingueva non più per diagnosi e comportamenti ma per la zona da cui proveniva, ricordo però poi nel 1995 che dentro le arcate venne allestita una frutta e verdura gestita dalla coop Monte San Pantaleone, è durata un annetto circa perchè non reggeva il mercato economico della zona. Il posto era aperto comunque alla cittadinanza e così l'ormai vecchio manicomio. “
Francesca: “ Ho iniziato a frequentare l'ex opp e a varcare questa entrata dal 1996 al 2004, ricordo che nelle arcate non c'era niente, un po' è cambiata la zona circostante dove sulla destra stavano costruendo, poi vedo la fermata del bus che è stata messa dopo il 2000, forse dopo che ero andata via io nel 2004. La fermata è stata messa quando l'Usl è diventata Azienda Sanitaria cioè quando entrò l'idea aziendale per i servizi alla persona così si tiene conto più dell'aspetto economico e meno o in modo diverso di chi riceve il servizio, cioè della persona.”
Matteo: “ E' l'entrata dell'ex opp, dalla parte bassa del parco. E' diventata un'entrata di passaggio, di chi ci lavora e di chi usufruisce dei servizi interni: Sert, alcolisti anonimi e dipartimento di salute mentale. Non so chi è di passaggio se conosce la storia dell'ex manicomio, ancora oggi si fanno comunque feste o eventi e il luogo è frequentato dalle persone, si organizzano anche convegni. Ci sono ancora abitanti dentro, anziani di una casa di riposo e qualche residuo manicomiale. E' luogo che mantiene delle tracce assai flebili della rivoluzione basagliana. Varcando la porta di questo spazio ti rendi conto che ciò che è all'interno non ha più senso di essere, se vai oltre ti senti quasi sospeso nel tempo. “
Fabio: “ L'ingresso dell'opp. Fin quando ero bambino e poi da giovane per me il motto è sempre stato: “ Lasciate ogni speranza a voi che entrate... “ poi per tutte le attività che sono state fatte dagli anni 70 in poi lo vivo in modo diverso. Per me è una parte della città che prima era chiusa, la novità sta nell'autobus che ha portato quella parte della città a far parte della città “.
Francesco: “ L'entrata principale. L'ho sempre vista come linea di confine su via San Cilino, rappresentava l'idea di quello che c'era dentro e quello che c'era fuori, insomma una divisione netta. Tuttora da l'idea di un'entrata in un altro posto, però conosco di più l'uscita nella parte alta del parco perchè la frequento a volte quando fanno eventi o concerti. Fa un certo effetto entrare dentro , dà l'idea di un mondo a parte, separato. Rispetto all'ingresso a sinistra hanno rifatto le case che prima erano un po' dismesse. “
Francesca S. : “ Mi sembra uno spazio utilizzato ma abbastanza trascurato credo sia in zona urbana ma non centrale, presenza di verde. E' una zona residenziale e poco di passaggio. L'edificio all'interno è poco visibile ma si capisce che è un luogo di lavoro."
Mappa , cartina del Parco di San Giovanni
Boris: “ Questa è la pianta del parco , è rappresentata la strada che c'è ancora oggi, io lavoravo al T vicino all' F ma non c'è nella mappa, non vedo i due reparti, esiste un'altra pianta più storica che si trova nella direzione generale della psichiatria appesa nell'ufficio di Rotelli. Il reparto era in alto a destra rispetto alla mappa, e si accedeva attraverso un ponte. “
Aldo: “ Planimetria dell' Opp stilizzata fatta da Antonio Limas con i vari reparti e la direzione generale dell' azienda sanitaria si è spostata all'interno del parco. Altre mappe simili le troviamo in alcune zone del parco. C'è anche una vecchia planimetria. “
Francesca: “ Un cartello posto dopo il 96, penso i primi anni del 2000 nel periodo in cui sempre meno servizi ci sono stati all'interno dell 'Ex opp, al tempo quando io arrivai c'erano molti più laboratori rivolti agli utenti psichiatrici, la logica è stata quella di ristrutturare delle palazzine che erano in stato di degrado e con la ristrutturazione sono stati messi dei cartelli per favorire l'accesso della cittadinanza al parco. Non c'è nessuna menzione che questo è stato un manicomio, manca la memoria del luogo rispetto a questo cartello. “
Matteo: “ Questa mappa dell'attuale Parco di San Giovanni parla da sola perchè se la frappongo tra ciò che era il manicomio allora e ciò che è oggi, la mappa è una radiografia, intanto sembra dalle icone maggiori che gli utenti per la maggioranza sono universitari, poi c'è una clinica psichiatrica, un centro di formazione , la mappa denota che il parco è aperto alla città non solo per i servizi di diagnosi e cura per i malati. Non c'è un museo in cui si ricorda che lì c'è stato un manicomio, il parco diventa uno spazio senza spazio senza una propria identità. La mappa manca di quella identità che richiami la memoria. “
Fabio: “ Questa è la pianta con l' indicazione delle strutture universitarie, dell'Azienda Sanitaria, gli spazi culturali. Questa è una pianta per capire come muoversi all'interno, c'è una discrepanza tra i vari servizi universitari e quelli sanitari legati alla cura della malattia mentale che sono l'ultima resistenza all'interno della struttura. C'è poi una zona diciamo adibita alla cultura, alla ludicità che si trova nella parte alta del parco: il teatrino, radio Fragola “
Francesco: “ E' il cartello che indica che all'interno fanno molte attività, anche se la cittadinanza non conosce per esempio che dentro c'è la scuola slovena o l'università: Scienze della Terra , dal cartello sembra un posto vivo, pieno di attività . “
Francesca S. “ E' la planimetria del parco con le varie strutture adibite a diverse attività: universitarie, ludiche e socio-sanitarie. Non pensavo che all'interno si svolgesse tutto questo numero di attività e non sono convinta che effettivamente sia tutto attivo al momento. “
Boris: “ Questa è la pianta del parco , è rappresentata la strada che c'è ancora oggi, io lavoravo al T vicino all' F ma non c'è nella mappa, non vedo i due reparti, esiste un'altra pianta più storica che si trova nella direzione generale della psichiatria appesa nell'ufficio di Rotelli. Il reparto era in alto a destra rispetto alla mappa, e si accedeva attraverso un ponte. “
Aldo: “ Planimetria dell' Opp stilizzata fatta da Antonio Limas con i vari reparti e la direzione generale dell' azienda sanitaria si è spostata all'interno del parco. Altre mappe simili le troviamo in alcune zone del parco. C'è anche una vecchia planimetria. “
Francesca: “ Un cartello posto dopo il 96, penso i primi anni del 2000 nel periodo in cui sempre meno servizi ci sono stati all'interno dell 'Ex opp, al tempo quando io arrivai c'erano molti più laboratori rivolti agli utenti psichiatrici, la logica è stata quella di ristrutturare delle palazzine che erano in stato di degrado e con la ristrutturazione sono stati messi dei cartelli per favorire l'accesso della cittadinanza al parco. Non c'è nessuna menzione che questo è stato un manicomio, manca la memoria del luogo rispetto a questo cartello. “
Matteo: “ Questa mappa dell'attuale Parco di San Giovanni parla da sola perchè se la frappongo tra ciò che era il manicomio allora e ciò che è oggi, la mappa è una radiografia, intanto sembra dalle icone maggiori che gli utenti per la maggioranza sono universitari, poi c'è una clinica psichiatrica, un centro di formazione , la mappa denota che il parco è aperto alla città non solo per i servizi di diagnosi e cura per i malati. Non c'è un museo in cui si ricorda che lì c'è stato un manicomio, il parco diventa uno spazio senza spazio senza una propria identità. La mappa manca di quella identità che richiami la memoria. “
Fabio: “ Questa è la pianta con l' indicazione delle strutture universitarie, dell'Azienda Sanitaria, gli spazi culturali. Questa è una pianta per capire come muoversi all'interno, c'è una discrepanza tra i vari servizi universitari e quelli sanitari legati alla cura della malattia mentale che sono l'ultima resistenza all'interno della struttura. C'è poi una zona diciamo adibita alla cultura, alla ludicità che si trova nella parte alta del parco: il teatrino, radio Fragola “
Francesco: “ E' il cartello che indica che all'interno fanno molte attività, anche se la cittadinanza non conosce per esempio che dentro c'è la scuola slovena o l'università: Scienze della Terra , dal cartello sembra un posto vivo, pieno di attività . “
Francesca S. “ E' la planimetria del parco con le varie strutture adibite a diverse attività: universitarie, ludiche e socio-sanitarie. Non pensavo che all'interno si svolgesse tutto questo numero di attività e non sono convinta che effettivamente sia tutto attivo al momento. “
Trieste 1979, i padiglioni si svuotano!
Boris: “ Questa è la vecchia direzione, dalle scritte che vedo in francese è verso la fine degli anni 70, sono quelle del gruppo Marge. Basaglia fece il primo Reseau di antipsichiatria, il gruppo Marge era un gruppo politico fatto di ex galeotti psichiatrizzati unito ai nostri autonomi. Era un periodo di grandi lotte, questi sono pazienti liberi, noi stavamo liberalizzando il manicomio, era la prima fase per la chisura. Sono liberi, ma dove vanno? Hanno paura di uscire, e hanno paura le persone che li vedono uscire. Però è stato grandioso, noi infermieri li accompagnavamo fuori a fare la spesa, a bere il caffè dopo 20 – 30 anni che questi erano stati rinchiusi. Li accompagnavamo a casa dai loro genitori o nei gruppi appartamento, altra idea geniale di Basaglia, c'erano persone che non avevano agganci con il territorio e a lui e alla sua equipe venne questa idea: tre, quattro persone che vivevano insieme in appartamenti in città, uscivano di casa supportati da due infermieri vestiti in borghese e si andava a prendere il caffè in viale e poi si saliva verso il Cim per mantenere il legame con l'ex opp perchè ricordo la liberalizzazione è stata graduale. “
Aldo: “ Sembrano foto d'epoca con palazzi appena costruiti, questa è la direzione generale, quando sono arrivato io era la seconda zona quella che oggi è la Maddalena. La prima notte che sono arrivato ho dormito lì. C'era un accaparramento di volontari: davano una stanza e il vitto. “
Francesca: “ Questa è una palazzina, sembra una foto degli anni 60, vedo delle persone davanti alla palazzina, sono persone, pazienti vestiti uguali, non sono infermieri. Siamo nella parte bassa del manicomio, siamo in autunno in una foto in bianco e nero, siamo in un altro tempo e vedendo le scritte devo dire che siamo negli anni 70 non negli anni 60. Le persone che sono lì stanno passeggiando senza andare in alcuna direzione. “
Matteo: “ Vedo una foto d'epoca no forse in bianco e nero e basta ma non capisco. Forse è una foto degli anni 60. Vedo 5 persone con uno sguardo non rivolto all'obiettivo, sono utenti. Questa sembra una foto senza tempo. Sono passati 30 anni eppure sembra una foto astorica , siamo davanti alla direzione generale quella vecchia. E' una foto che non mi dà disagio, le persone mi danno serenità anche se loro vivono uno spazio limitato perchè penso che le entrate e le uscite fossero chiuse. E' una foto difficile da definire. Gli uomini sembrano assorti. Penso alla gerarchia intorno a loro all'interno del manicomio. Sembra che nonostante siano liberi, apparentemente , non abbiano via di scampo ciò che li unisce forse inconsciamente è la forza delle relazioni umane. “
Fabio: “ Siamo nello spazio chiuso, quando l'ex opp era opp, è una foto di prima che io nascessi, forse qualcuno anche si arrampicava sulle reti per tirare pietre ai matti, oggi quello spazio, davanti all'ex direzione generale è uno spazio fiorito. Quelle persone sono quelle che si vedranno fuori, all'inizio della rivoluzione basagliana, in giro per città, si aveva all'inizio paura di loro poi ci si abituò e diventarono cittadini normali. “
Francesco: “ Quella palazzina è l'ex direzione generale dell'opp, siamo negli anni 60-70, fa impressione, ha un che di poetico questa foto così in bianco e nero. Le persone cosa fanno lì? Tutto e niente, sembrano dei reclusi che hanno l'ora d'aria, questa foto sembra fatta prima di Basaglia ma penso che è dopo, inganna il bianco e nero. Le persone sembrano persone in cura, sono presi di spalle, una distante dall'altra, anche se la foto potrebbe essere stata ricostruita, fatta apposta per dare l'idea di alienazione, di chiusura nonostante lo spazio sia aperto."
Francesca S. “ Immagine d'epoca. Credo siano pazienti in un momento ricreativo, tutti maschi, in numero molto esiguo. Penso venissero divisi in gruppi poco numerosi. Anche perchè non noto la presenza di operatori. Il luogo e i pazienti mi sembrano ben curati."
Boris: “ Questa è la vecchia direzione, dalle scritte che vedo in francese è verso la fine degli anni 70, sono quelle del gruppo Marge. Basaglia fece il primo Reseau di antipsichiatria, il gruppo Marge era un gruppo politico fatto di ex galeotti psichiatrizzati unito ai nostri autonomi. Era un periodo di grandi lotte, questi sono pazienti liberi, noi stavamo liberalizzando il manicomio, era la prima fase per la chisura. Sono liberi, ma dove vanno? Hanno paura di uscire, e hanno paura le persone che li vedono uscire. Però è stato grandioso, noi infermieri li accompagnavamo fuori a fare la spesa, a bere il caffè dopo 20 – 30 anni che questi erano stati rinchiusi. Li accompagnavamo a casa dai loro genitori o nei gruppi appartamento, altra idea geniale di Basaglia, c'erano persone che non avevano agganci con il territorio e a lui e alla sua equipe venne questa idea: tre, quattro persone che vivevano insieme in appartamenti in città, uscivano di casa supportati da due infermieri vestiti in borghese e si andava a prendere il caffè in viale e poi si saliva verso il Cim per mantenere il legame con l'ex opp perchè ricordo la liberalizzazione è stata graduale. “
Aldo: “ Sembrano foto d'epoca con palazzi appena costruiti, questa è la direzione generale, quando sono arrivato io era la seconda zona quella che oggi è la Maddalena. La prima notte che sono arrivato ho dormito lì. C'era un accaparramento di volontari: davano una stanza e il vitto. “
Francesca: “ Questa è una palazzina, sembra una foto degli anni 60, vedo delle persone davanti alla palazzina, sono persone, pazienti vestiti uguali, non sono infermieri. Siamo nella parte bassa del manicomio, siamo in autunno in una foto in bianco e nero, siamo in un altro tempo e vedendo le scritte devo dire che siamo negli anni 70 non negli anni 60. Le persone che sono lì stanno passeggiando senza andare in alcuna direzione. “
Matteo: “ Vedo una foto d'epoca no forse in bianco e nero e basta ma non capisco. Forse è una foto degli anni 60. Vedo 5 persone con uno sguardo non rivolto all'obiettivo, sono utenti. Questa sembra una foto senza tempo. Sono passati 30 anni eppure sembra una foto astorica , siamo davanti alla direzione generale quella vecchia. E' una foto che non mi dà disagio, le persone mi danno serenità anche se loro vivono uno spazio limitato perchè penso che le entrate e le uscite fossero chiuse. E' una foto difficile da definire. Gli uomini sembrano assorti. Penso alla gerarchia intorno a loro all'interno del manicomio. Sembra che nonostante siano liberi, apparentemente , non abbiano via di scampo ciò che li unisce forse inconsciamente è la forza delle relazioni umane. “
Fabio: “ Siamo nello spazio chiuso, quando l'ex opp era opp, è una foto di prima che io nascessi, forse qualcuno anche si arrampicava sulle reti per tirare pietre ai matti, oggi quello spazio, davanti all'ex direzione generale è uno spazio fiorito. Quelle persone sono quelle che si vedranno fuori, all'inizio della rivoluzione basagliana, in giro per città, si aveva all'inizio paura di loro poi ci si abituò e diventarono cittadini normali. “
Francesco: “ Quella palazzina è l'ex direzione generale dell'opp, siamo negli anni 60-70, fa impressione, ha un che di poetico questa foto così in bianco e nero. Le persone cosa fanno lì? Tutto e niente, sembrano dei reclusi che hanno l'ora d'aria, questa foto sembra fatta prima di Basaglia ma penso che è dopo, inganna il bianco e nero. Le persone sembrano persone in cura, sono presi di spalle, una distante dall'altra, anche se la foto potrebbe essere stata ricostruita, fatta apposta per dare l'idea di alienazione, di chiusura nonostante lo spazio sia aperto."
Francesca S. “ Immagine d'epoca. Credo siano pazienti in un momento ricreativo, tutti maschi, in numero molto esiguo. Penso venissero divisi in gruppi poco numerosi. Anche perchè non noto la presenza di operatori. Il luogo e i pazienti mi sembrano ben curati."
Trieste, 1903 il viale dell'Opp – 2014 dell'ex Opp con scalinata monumentale sullo sfondo
Boris: “ Questa è una foto storica, del 1904, il grande viale che divideva a sinistra le donne e a destra gli uomini. E' una foto fatta apposta, la gente non camminava nel vialone , la gente lì è in posa. L'altra di è adesso e si vede chiaramente, dai segnali e dall'asfalto che ora passano le macchine, anche negli anni che lavoravo io e prima dell'apertura passavano solo le auto di chi lavorava dentro. Nel manicomio non si girava liberi solo i “ buoni “ accompagnati da infermieri di campagna facevano un giro e al limite facevano dei piccoli lavoretti come tirare su le foglie, gli arbusti, quando sono arrivato io nel 73 raramente vedevo gente passeggiare nel parco, c'era solo il furgone della biancheria. Negli anni del cambiamento si trovavano molte persone invece che frequentavano il parco: volontari, universitari, artisti, eccetera. “
Aldo: “ E' una foto d'epoca vedo delle persone, i padiglioni ai lati del viale, nell'altra vedo alberi ed è una foto fatta da un'altra prospettiva, è una foto di adesso e si capisce chiaramente dall'asfalto e dai segnali che passano automobili e ci camminano anche le persone, nell'altra le persone sembrano finte, cioè in posa. “
Francesca: “ E' una foto d'epoca, scattata nel primo 900 ed è il viale con la scalinata, senza alberi è spiazzante, mi dà altre sensazioni rispetto alla foto di confronto piena di alberi, con l'asfalto i segnali stradali , i cassonetti e le panchine. Nella prima foto si vedono di più le palazzine che non gli alberi, viceversa nella seconda. Nella prima foto la strada sembra meno in salita della seconda foto. Vista così sembra il viale qualsiasi di una città dove la gente passeggia quindi potrebbe sembrare un luogo aperto. Tutto il manicomio era fatto di una architettura molto bella ma il contenuto di questa architettura era molto violento, visto a chi si rivolgevano le strutture. Nella seconda foto quella attuale mi vien da dire che il passaggio da Usl ad Azienda ha ricreato l'ambiente, quando venni nel 96 tutto era ancora lasciato un po' in decadenza, non c'erano lampioni, forse qualche parte di verde curata e qualche palazzina risistemata ma tutto rimaneva un po' diciamo allo “ stato brado “ , c'era un altro tipo di approccio ai servizi erogati in questo luogo. Con l'Usl i luoghi erano aperti ed ospitavano persone, non solo gli utenti, chiamati appunto ospiti, ma anche i volontari, io stessa fui ospitata alla palazzina M. C'era più possibilità di fare laboratori o progetti artistici-sociali, le risorse delle persone venivano molto valorizzate e sostenute con spazi e qualche volta con mezzi economici, le individualità erano più considerate, e le persone messe al centro delle situazioni. Da quando c'è l'azienda sanitaria le palazzine vengono chiuse ad orario di ufficio, seppur curate, e i servizi più efficienti, sono erogati in un certo modo, il risultato paradossalmente, è una maggior chiusura. Eppure le persone che lavorano dentro sono quasi le stesse di 20 anni fa. “
Matteo: “ Nella prima foto si vede che lo spazio era organizzato in un modo calcolato. E' curioso nella foto in bianco e nero vedere molte donne. Nelle foto manicomiali di solito si vedono più uomini che donne. Nella foto a colori vedo un parco più verde, per me sta foto evidenzia un luogo che non c'è più: è cresciuta la vegetazione, ci sono panchine, segnali stradali e indicazioni di luoghi universitari. I palazzi non sono cambiati nelle due foto, fuori, dentro il significato è diverso. La foto in bianco e nero mi dà l'idea di spazio chiuso nell'altra siamo in uno spazio aperto. “
Fabio: “ Siamo nello spazio dietro alla palazzina vista prima, è il mondo altro che noi non conoscevamo, questo mi dice la foto in bianco e nero, penso ai miei tempi, ero molto giovane e i piccoli gruppi di amici che si trovavano davanti al portone di entrata erano intimoriti di quello che poteva esserci dentro. Nella foto a colori, vedo un posto sereno, tranquillo, non c'è più l'aspetto della paura, dei matti che camminano per i vialetti e le sbarre, è un posto aperto alle persone. “
Francesco: “ Vedo una foto del primo 900, è il viale principale, dà l'idea di pulizia, ordine austro-ungarico, un posto all'avanguardia con i padiglioni isolati. Dà l'idea di un posto moderno, la foto a colori mi dà l'idea di un parco, gli alberi hanno quella funzione, nell'altra c'è l'idea di un luogo aperto anche se è chiuso. Mi colpiscono gli alberi: da Opp a parco. “
Francesca S.“Altra immagine d'epoca, non so da quale punto si riesca ad avere questa visuale, adesso il verde occupa gran parte della vista. Nella foto in bianco e nero si nota più lavoro e attività, l'altra sembra più turistica. “
Boris: “ Questa è una foto storica, del 1904, il grande viale che divideva a sinistra le donne e a destra gli uomini. E' una foto fatta apposta, la gente non camminava nel vialone , la gente lì è in posa. L'altra di è adesso e si vede chiaramente, dai segnali e dall'asfalto che ora passano le macchine, anche negli anni che lavoravo io e prima dell'apertura passavano solo le auto di chi lavorava dentro. Nel manicomio non si girava liberi solo i “ buoni “ accompagnati da infermieri di campagna facevano un giro e al limite facevano dei piccoli lavoretti come tirare su le foglie, gli arbusti, quando sono arrivato io nel 73 raramente vedevo gente passeggiare nel parco, c'era solo il furgone della biancheria. Negli anni del cambiamento si trovavano molte persone invece che frequentavano il parco: volontari, universitari, artisti, eccetera. “
Aldo: “ E' una foto d'epoca vedo delle persone, i padiglioni ai lati del viale, nell'altra vedo alberi ed è una foto fatta da un'altra prospettiva, è una foto di adesso e si capisce chiaramente dall'asfalto e dai segnali che passano automobili e ci camminano anche le persone, nell'altra le persone sembrano finte, cioè in posa. “
Francesca: “ E' una foto d'epoca, scattata nel primo 900 ed è il viale con la scalinata, senza alberi è spiazzante, mi dà altre sensazioni rispetto alla foto di confronto piena di alberi, con l'asfalto i segnali stradali , i cassonetti e le panchine. Nella prima foto si vedono di più le palazzine che non gli alberi, viceversa nella seconda. Nella prima foto la strada sembra meno in salita della seconda foto. Vista così sembra il viale qualsiasi di una città dove la gente passeggia quindi potrebbe sembrare un luogo aperto. Tutto il manicomio era fatto di una architettura molto bella ma il contenuto di questa architettura era molto violento, visto a chi si rivolgevano le strutture. Nella seconda foto quella attuale mi vien da dire che il passaggio da Usl ad Azienda ha ricreato l'ambiente, quando venni nel 96 tutto era ancora lasciato un po' in decadenza, non c'erano lampioni, forse qualche parte di verde curata e qualche palazzina risistemata ma tutto rimaneva un po' diciamo allo “ stato brado “ , c'era un altro tipo di approccio ai servizi erogati in questo luogo. Con l'Usl i luoghi erano aperti ed ospitavano persone, non solo gli utenti, chiamati appunto ospiti, ma anche i volontari, io stessa fui ospitata alla palazzina M. C'era più possibilità di fare laboratori o progetti artistici-sociali, le risorse delle persone venivano molto valorizzate e sostenute con spazi e qualche volta con mezzi economici, le individualità erano più considerate, e le persone messe al centro delle situazioni. Da quando c'è l'azienda sanitaria le palazzine vengono chiuse ad orario di ufficio, seppur curate, e i servizi più efficienti, sono erogati in un certo modo, il risultato paradossalmente, è una maggior chiusura. Eppure le persone che lavorano dentro sono quasi le stesse di 20 anni fa. “
Matteo: “ Nella prima foto si vede che lo spazio era organizzato in un modo calcolato. E' curioso nella foto in bianco e nero vedere molte donne. Nelle foto manicomiali di solito si vedono più uomini che donne. Nella foto a colori vedo un parco più verde, per me sta foto evidenzia un luogo che non c'è più: è cresciuta la vegetazione, ci sono panchine, segnali stradali e indicazioni di luoghi universitari. I palazzi non sono cambiati nelle due foto, fuori, dentro il significato è diverso. La foto in bianco e nero mi dà l'idea di spazio chiuso nell'altra siamo in uno spazio aperto. “
Fabio: “ Siamo nello spazio dietro alla palazzina vista prima, è il mondo altro che noi non conoscevamo, questo mi dice la foto in bianco e nero, penso ai miei tempi, ero molto giovane e i piccoli gruppi di amici che si trovavano davanti al portone di entrata erano intimoriti di quello che poteva esserci dentro. Nella foto a colori, vedo un posto sereno, tranquillo, non c'è più l'aspetto della paura, dei matti che camminano per i vialetti e le sbarre, è un posto aperto alle persone. “
Francesco: “ Vedo una foto del primo 900, è il viale principale, dà l'idea di pulizia, ordine austro-ungarico, un posto all'avanguardia con i padiglioni isolati. Dà l'idea di un posto moderno, la foto a colori mi dà l'idea di un parco, gli alberi hanno quella funzione, nell'altra c'è l'idea di un luogo aperto anche se è chiuso. Mi colpiscono gli alberi: da Opp a parco. “
Francesca S.“Altra immagine d'epoca, non so da quale punto si riesca ad avere questa visuale, adesso il verde occupa gran parte della vista. Nella foto in bianco e nero si nota più lavoro e attività, l'altra sembra più turistica. “
Trieste, 1910-2014 Scalinata monumentale dell'ex Opp
Boris: “ E' la scalinata centrale, vedo un mussetto, degli infermieri e i pazienti e qualche parente, gli infermieri non comunicavano mai dal 1900 fin al 1970 circa. Tra uomini e donne non ci si parlava sia che si fosse pazienti sia infermieri, infatti la strada divideva i padiglioni dei maschi da quelli delle femmine. L'ex Opp era una città, quando ho iniziato nel 73, c'erano all'inizio del parco partendo dal viale in basso, dopo la direzione generale: il centro raggi, un bar e l'accettazione uomini dove in base alle manifestazioni e ai sintomi ti mettevano nei vari padiglioni, pensa se vai verso l'alto , verso la fine del parco dopo la scalinata c'è il villaggio col teatrino, e le cucine, e qualche palazzina dove si facevano vari lavori, dopo c'è la chiesa e andando nell'altra uscita o entrata c'è l'obitorio. Un uomo ci passava la vita qui dentro. La foto di adesso mi fa venire in mente che oggi non passa mai nessuno, sopratutto al teatrino non va nessuno, troppo isolato pur essendo questo parco aperto al pubblico. Oggi questo viale resta una via di passaggio per molte auto è stato messo anche un bus-navetta per arrivare nella parte alta del parco dove appunto c'è il teatrino, il bar Posto delle Fragole e spazi adibiti a conferenze o convegni. “
Aldo: “ Parto dalla foto a colori, che mi sembra di adesso , perchè nel 77 la scalinata era distrutta, ed è stata messa apposto da pochi anni, anche la fermata dal bus avrà 6 anni circa, la scalinata confrontandola con la foto d'epoca è stata portata all'originalità, così bianca, pulita io appunto la ricordo sporca e inaccessibile che per andare alle mense e al teatro bisognava fare un pezzo di curva , lì a sinistra e poi attraversare un vialetto interrato, la scala è molto comoda ora che comunque ci sono attività e lavori più strutturati. Nell'altra foto vedo degli asinelli penso non sia mai esistito Marco Cavallo, vedo un prete, degli infermieri e delle dame dell'epoca, siamo all'inizio del 900. “
Francesca: “ Vedo una foto dell'inizio del 900 vedo persone che lavorano con un carretto tirato da asini, vedo infermieri con bidoni del latte, e dei pazienti, mi colpisce sta cosa degli alberi piccoli e poca erba. Nell'altra vedo alberi grandi e fermata del bus con una pensilina ad installazione. Poi vedo l'asfalto e mi colpisce il candore della scalinata perchè quando sono arrivata io, la scalinata era rovinata e sporca. Guardando le due foto sembra che siamo andati avanti per via della fermata del bus e degli alberi cresciuti però per alcuni aspetti, la scalinata bianca ci porta all'inizio della storia del luogo come se fossimo tornati indietro nel tempo. Lo dico a livello emotivo perchè ho vissuto molto questi spazi. Oggi è uno spazio della città vissuto attraverso eventi che fanno durante l'anno. Rispetto a quando sono arrivata io che si sentiva ancora molto la ricchezza della rivoluzione che c'era stata, oggi è un luogo molto istituzionalizzato. Quindi da un punto di vista artistico, e non esiste crescita artistica se non esiste crescita umana, oggi non mi dice niente, gli eventi che si fanno oggi sono molto convenzionali, non si distinguono come quando facevo io teatro, dove tutto era sempre in trasformazione, tutto era denso di forza emotiva di cambiamento e di sperimentazione. Oggi gli eventi che fanno qui posso vederli in qualsiasi parte della città e quindi non mi dà più niente da quel p.d.v. . “
Matteo: “ Nella foto in bianco e nero vedo infermieri, dei cavalli che sembra trainino un carretto vuoto. La foto in bianco e nero rileva la sua identità anche se mi dà la sensazione di una strada di villaggio forse per l'epoca; quella a colori è una foto che mi rappresenta il passaggio di bus appunto, di auto. Vedo il gabbiotto con una poesia di Zanzotto, la foto di per sé è anonima, vedo le scalinate che mi portano verso la parte alta del parco. “
Fabio: “ Nella foto in bianco e nero sento l'arsura, la crudezza dell'ambiente, l'aridità e la scala imponente non accogliente, i personaggi me li vedo isolati dal mondo, un mondo chiuso dove si sentivano le urla e basta, Nella foto a colori si vive il mondo dell'accoglienza non della reclusione con alberi, la fermata dell'autobus, l'installazione. “
Francesco: “ Nella foto in bianco e nero vedo un carretto che porta del latte, mi rappresenta il lavoro, vedo anche donne vestite bene forse la moglie di qualche medico o parenti di qualche paziente. Nella foto a colori vedo sempre la scalinata si perde l'idea di natura, è un parco con l'asfalto, la fermata del bus. E' un luogo bucolico quasi naif . “
Francesca S. “ Si distinguono le figure in bianco come quasi sicuramente personale medico, mentre quelle in abiti normali non so che ruolo potrebbero avere avuto. L'ambiente è tenuto bene, sembra quasi pulito, ma il verde è presente solo nella foto recente. Nelle immagine a colori come quella di prima non è presente quasi mai nessuno. “
Boris: “ E' la scalinata centrale, vedo un mussetto, degli infermieri e i pazienti e qualche parente, gli infermieri non comunicavano mai dal 1900 fin al 1970 circa. Tra uomini e donne non ci si parlava sia che si fosse pazienti sia infermieri, infatti la strada divideva i padiglioni dei maschi da quelli delle femmine. L'ex Opp era una città, quando ho iniziato nel 73, c'erano all'inizio del parco partendo dal viale in basso, dopo la direzione generale: il centro raggi, un bar e l'accettazione uomini dove in base alle manifestazioni e ai sintomi ti mettevano nei vari padiglioni, pensa se vai verso l'alto , verso la fine del parco dopo la scalinata c'è il villaggio col teatrino, e le cucine, e qualche palazzina dove si facevano vari lavori, dopo c'è la chiesa e andando nell'altra uscita o entrata c'è l'obitorio. Un uomo ci passava la vita qui dentro. La foto di adesso mi fa venire in mente che oggi non passa mai nessuno, sopratutto al teatrino non va nessuno, troppo isolato pur essendo questo parco aperto al pubblico. Oggi questo viale resta una via di passaggio per molte auto è stato messo anche un bus-navetta per arrivare nella parte alta del parco dove appunto c'è il teatrino, il bar Posto delle Fragole e spazi adibiti a conferenze o convegni. “
Aldo: “ Parto dalla foto a colori, che mi sembra di adesso , perchè nel 77 la scalinata era distrutta, ed è stata messa apposto da pochi anni, anche la fermata dal bus avrà 6 anni circa, la scalinata confrontandola con la foto d'epoca è stata portata all'originalità, così bianca, pulita io appunto la ricordo sporca e inaccessibile che per andare alle mense e al teatro bisognava fare un pezzo di curva , lì a sinistra e poi attraversare un vialetto interrato, la scala è molto comoda ora che comunque ci sono attività e lavori più strutturati. Nell'altra foto vedo degli asinelli penso non sia mai esistito Marco Cavallo, vedo un prete, degli infermieri e delle dame dell'epoca, siamo all'inizio del 900. “
Francesca: “ Vedo una foto dell'inizio del 900 vedo persone che lavorano con un carretto tirato da asini, vedo infermieri con bidoni del latte, e dei pazienti, mi colpisce sta cosa degli alberi piccoli e poca erba. Nell'altra vedo alberi grandi e fermata del bus con una pensilina ad installazione. Poi vedo l'asfalto e mi colpisce il candore della scalinata perchè quando sono arrivata io, la scalinata era rovinata e sporca. Guardando le due foto sembra che siamo andati avanti per via della fermata del bus e degli alberi cresciuti però per alcuni aspetti, la scalinata bianca ci porta all'inizio della storia del luogo come se fossimo tornati indietro nel tempo. Lo dico a livello emotivo perchè ho vissuto molto questi spazi. Oggi è uno spazio della città vissuto attraverso eventi che fanno durante l'anno. Rispetto a quando sono arrivata io che si sentiva ancora molto la ricchezza della rivoluzione che c'era stata, oggi è un luogo molto istituzionalizzato. Quindi da un punto di vista artistico, e non esiste crescita artistica se non esiste crescita umana, oggi non mi dice niente, gli eventi che si fanno oggi sono molto convenzionali, non si distinguono come quando facevo io teatro, dove tutto era sempre in trasformazione, tutto era denso di forza emotiva di cambiamento e di sperimentazione. Oggi gli eventi che fanno qui posso vederli in qualsiasi parte della città e quindi non mi dà più niente da quel p.d.v. . “
Matteo: “ Nella foto in bianco e nero vedo infermieri, dei cavalli che sembra trainino un carretto vuoto. La foto in bianco e nero rileva la sua identità anche se mi dà la sensazione di una strada di villaggio forse per l'epoca; quella a colori è una foto che mi rappresenta il passaggio di bus appunto, di auto. Vedo il gabbiotto con una poesia di Zanzotto, la foto di per sé è anonima, vedo le scalinate che mi portano verso la parte alta del parco. “
Fabio: “ Nella foto in bianco e nero sento l'arsura, la crudezza dell'ambiente, l'aridità e la scala imponente non accogliente, i personaggi me li vedo isolati dal mondo, un mondo chiuso dove si sentivano le urla e basta, Nella foto a colori si vive il mondo dell'accoglienza non della reclusione con alberi, la fermata dell'autobus, l'installazione. “
Francesco: “ Nella foto in bianco e nero vedo un carretto che porta del latte, mi rappresenta il lavoro, vedo anche donne vestite bene forse la moglie di qualche medico o parenti di qualche paziente. Nella foto a colori vedo sempre la scalinata si perde l'idea di natura, è un parco con l'asfalto, la fermata del bus. E' un luogo bucolico quasi naif . “
Francesca S. “ Si distinguono le figure in bianco come quasi sicuramente personale medico, mentre quelle in abiti normali non so che ruolo potrebbero avere avuto. L'ambiente è tenuto bene, sembra quasi pulito, ma il verde è presente solo nella foto recente. Nelle immagine a colori come quella di prima non è presente quasi mai nessuno. “
Trieste, 1910-2014 Teatro Franco-Franca Basaglia dell'ex opp ristrutturato tra il 2007 e il 2008
Boris: “ Nella foto in bianco e nero vedo il teatro e la struttura di fronte che allora era il magazzino di cibo e vestiario, nell'altra foto è ormai una struttura dismessa che da un certo punto in poi , metà anni 70 credo è diventata mensa che ha chiuso poi nel 2000. La foto a colori mi dice invece che il teatro è ristrutturato , è molto bello ma i triestini vanno poco, è troppo lontano per la città. L'auto mi dice che quando ci sono degli eventi , quel piazzale diventa un parcheggio, segno dei tempi che cambiano.
Le persone nella foto d'epoca sono operatori, forse sono in posa, siamo nel 1910. Potrei immaginare che l'infermiera è venuta a prendere del pane o delle lenzuola dal famiglio, da portare in reparto. Non so cosa facevano a quell'epoca dentro al teatro. Negli anni 70 invece ci facevano anche dei spettacoli teatrali e musicali, ricordo gli Area, Le Orme e Dario Fo, proprio per ricordare l'apertura del manicomio. E ricordo un inverno, eravamo nel 73 o nel 74, dentro il teatro si fondò la Coop lavoratori uniti. Era una cooperativa formata anche da pazienti psichiatrici. “
Aldo: “ Nella foto a colori c'è il teatrino ristrutturato con le cucine chiuse che dovrebbero diventare la sede dell'università di psicologia. Le cucine funzionavano solo in una parte della struttura ed era gestita dalla cooperativa C. . Nella foto in bianco e nero, siamo ai primi del 900, vedo lo stesso teatro e delle persone, forse addetti ai lavori, e non so cosa facessero all'epoca , intrattenevano i pazienti , non saprei anche se una mi sembra una infermiera, sembrano in posa. “
Francesca: “ Il teatrino, nella foto a colori è ristrutturato perchè mi ricordo che quando sono arrivata io, era chiuso e dismesso, l'hanno ristrutturato qualche anno fa di proprietà della provincia con una pessima ristrutturazione è oggi sottoutilizzato. Vedo asfalto e auto, come sempre non ci sono persone. La ristrutturazione sembra evidenziare che si è andato avanti ma in realtà siamo tornati indietro. Vedo la foto in bianco e nero ed è tutto uguale, sembra non sia cambiato niente e non c'è un qualcosa che ricordi cosa è successo con Basaglia. Vicino c'è la struttura della mensa che funzionava ancora quando lavoravo dentro all' Opp. Nella foto in bianco nero, penso inizio del 900, reputo geniale pensare un teatro dentro all'ospedale psichiatrico, poi il fatto che diventò un luogo chiuso è un'altra storia. “
Matteo: “ Vedo il teatro nella foto a colori e anche in quella in bianco e nero e mi ricordo quando fu deposito di carta igienica e detersivi e poi ricordo nel piazzale durante il giorno del solstizio d'estate si fa un grande falò, chissà se lo facevano anche allora(?). Nella foto a colori difronte al teatrino c'è un palazzo chiuso non so cosa era, nella foto in bianco e nero vedo delle persone forse operatori. Le due foto accostate mi rappresentano l'oblio . Il teatro a colori ha avuto momenti difficili ci fu anche un 'occupazione negli anni 90 dopo essere stato magazzino. Invece nella foto in bianco e nero i tre personaggi sembrano testimoni di una rivoluzione anche se è avvenuta 60 anni dopo. Non dobbiamo dimenticare, sembrano fantasmi rispetto agli anni 70. “
Fabio: “ Questo è il teatro se lo guardo nella foto a colori penso ai miei figli che qualche anno fa hanno fatto attività teatrali con le scuole. Se lo guardo in bianco e nero penso alla chiusura anche se so che il teatrino aveva e ha la caratteristica che si apre anche da dietro , c'è un palco all'esterno per le attività di cinema e teatro all'aperto, non so che facevano all'inizio del 900 ma sicuramente negli anni 50-60 facevano cinema per i pazienti. Nella foto a colori penso alle associazioni di teatro che in questi anni hanno prodotto eventi teatrali anche importanti sopratutto per il rilancio dello spazio che era stato chiuso per 20 anni. Guardando sempre la foto a colori mi dà l'idea di uno spazio accogliente e produttivo. “
Francesco: “ Guardando le due foto del teatrino penso alla foto d'epoca e mi immagino che per i pazienti facessero attività ludico-ricreative, mentre se guardo la foto a colori penso all'occupazione fatta nel 96 da movimenti extraparlamentari come protesta per la mancanza di spazi teatrali e artistici per i giovani gruppi teatrali, ma forse volevano farci un centro sociale. E' stato in abbandono per molti anni. Paradossalmente mi viene da pensare che era più vivo all'epoca che adesso che come la foto precedente è molto bucolica. “
Francesca S. : “ Anche qui piante presenti solo nell'immagine recente, mentre le persone sono solo nella foto d'epoca. Penso sia il teatro, ricordo di esserci andata l'anno scorso. “
Boris: “ Nella foto in bianco e nero vedo il teatro e la struttura di fronte che allora era il magazzino di cibo e vestiario, nell'altra foto è ormai una struttura dismessa che da un certo punto in poi , metà anni 70 credo è diventata mensa che ha chiuso poi nel 2000. La foto a colori mi dice invece che il teatro è ristrutturato , è molto bello ma i triestini vanno poco, è troppo lontano per la città. L'auto mi dice che quando ci sono degli eventi , quel piazzale diventa un parcheggio, segno dei tempi che cambiano.
Le persone nella foto d'epoca sono operatori, forse sono in posa, siamo nel 1910. Potrei immaginare che l'infermiera è venuta a prendere del pane o delle lenzuola dal famiglio, da portare in reparto. Non so cosa facevano a quell'epoca dentro al teatro. Negli anni 70 invece ci facevano anche dei spettacoli teatrali e musicali, ricordo gli Area, Le Orme e Dario Fo, proprio per ricordare l'apertura del manicomio. E ricordo un inverno, eravamo nel 73 o nel 74, dentro il teatro si fondò la Coop lavoratori uniti. Era una cooperativa formata anche da pazienti psichiatrici. “
Aldo: “ Nella foto a colori c'è il teatrino ristrutturato con le cucine chiuse che dovrebbero diventare la sede dell'università di psicologia. Le cucine funzionavano solo in una parte della struttura ed era gestita dalla cooperativa C. . Nella foto in bianco e nero, siamo ai primi del 900, vedo lo stesso teatro e delle persone, forse addetti ai lavori, e non so cosa facessero all'epoca , intrattenevano i pazienti , non saprei anche se una mi sembra una infermiera, sembrano in posa. “
Francesca: “ Il teatrino, nella foto a colori è ristrutturato perchè mi ricordo che quando sono arrivata io, era chiuso e dismesso, l'hanno ristrutturato qualche anno fa di proprietà della provincia con una pessima ristrutturazione è oggi sottoutilizzato. Vedo asfalto e auto, come sempre non ci sono persone. La ristrutturazione sembra evidenziare che si è andato avanti ma in realtà siamo tornati indietro. Vedo la foto in bianco e nero ed è tutto uguale, sembra non sia cambiato niente e non c'è un qualcosa che ricordi cosa è successo con Basaglia. Vicino c'è la struttura della mensa che funzionava ancora quando lavoravo dentro all' Opp. Nella foto in bianco nero, penso inizio del 900, reputo geniale pensare un teatro dentro all'ospedale psichiatrico, poi il fatto che diventò un luogo chiuso è un'altra storia. “
Matteo: “ Vedo il teatro nella foto a colori e anche in quella in bianco e nero e mi ricordo quando fu deposito di carta igienica e detersivi e poi ricordo nel piazzale durante il giorno del solstizio d'estate si fa un grande falò, chissà se lo facevano anche allora(?). Nella foto a colori difronte al teatrino c'è un palazzo chiuso non so cosa era, nella foto in bianco e nero vedo delle persone forse operatori. Le due foto accostate mi rappresentano l'oblio . Il teatro a colori ha avuto momenti difficili ci fu anche un 'occupazione negli anni 90 dopo essere stato magazzino. Invece nella foto in bianco e nero i tre personaggi sembrano testimoni di una rivoluzione anche se è avvenuta 60 anni dopo. Non dobbiamo dimenticare, sembrano fantasmi rispetto agli anni 70. “
Fabio: “ Questo è il teatro se lo guardo nella foto a colori penso ai miei figli che qualche anno fa hanno fatto attività teatrali con le scuole. Se lo guardo in bianco e nero penso alla chiusura anche se so che il teatrino aveva e ha la caratteristica che si apre anche da dietro , c'è un palco all'esterno per le attività di cinema e teatro all'aperto, non so che facevano all'inizio del 900 ma sicuramente negli anni 50-60 facevano cinema per i pazienti. Nella foto a colori penso alle associazioni di teatro che in questi anni hanno prodotto eventi teatrali anche importanti sopratutto per il rilancio dello spazio che era stato chiuso per 20 anni. Guardando sempre la foto a colori mi dà l'idea di uno spazio accogliente e produttivo. “
Francesco: “ Guardando le due foto del teatrino penso alla foto d'epoca e mi immagino che per i pazienti facessero attività ludico-ricreative, mentre se guardo la foto a colori penso all'occupazione fatta nel 96 da movimenti extraparlamentari come protesta per la mancanza di spazi teatrali e artistici per i giovani gruppi teatrali, ma forse volevano farci un centro sociale. E' stato in abbandono per molti anni. Paradossalmente mi viene da pensare che era più vivo all'epoca che adesso che come la foto precedente è molto bucolica. “
Francesca S. : “ Anche qui piante presenti solo nell'immagine recente, mentre le persone sono solo nella foto d'epoca. Penso sia il teatro, ricordo di esserci andata l'anno scorso. “
Trieste, 1910-2014 Padiglione M – donne tranquille.
Boris: “ Questa struttura che è rimasta tale e quale come vedo dalle foto, è cambiato nel significato del suo contenuto, è il padiglione M, si chiamava ' le tranquille ' , la foto d'epoca mi mostra che le donne stavano fuori a prendere sole. Riconosco utenti e infermiere. I vestiti erano contenitivi, chiusi dietro. La foto attuale mi ricorda che ci sono le sedi delle cooperative e laboratori di sartoria, Radio Fragola, c'era anche Serigrafia ma è stata bruciata qualche anno fa. “
Aldo: “ Riconosco l' M dell'epoca e di adesso; dell'epoca vedo pazienti che prendono il sole e le infermiere, vedo delle suore e persone che forse sono parenti dei medici. Nella foto a colori vedo l' M ristrutturato da poco. Oggi c'è stato il funerale di Mariuccia un'infermiera storica che poi col tempo era diventata responsabile insieme a Carla del laboratorio di sartoria, dove ancora oggi vengono a lavorare diverse donne con vari tipi di disagi. Comunque negli anni 60-70 un po' prima della rivoluzione basagliana, Mariuccia appunto faceva l'infermiera in questo padiglione e c'erano circa 250 donne, le tranquille le chiamavano. Il padiglione non era riscaldato e c' era una sala da pranzo e la cucina dove da un buco uscivano i pranzi. Io ci ho lavorato negli anni 80 e nel padiglione c'erano solo tre utenti per stanza. Questi avevano una vita quasi normale, si occupavano di cucina e altri laboratori vari. L'M è stato uno degli ultimi padiglioni che ha chiuso cercando di dare dignità alle persone grazie agli spazi più aperti e meno affollati. “
Francesca: “ Dalle foto riconosco il padiglione M, in una foto lo rivedo completamente ristrutturato. E' il luogo che ho abitato di più nell'ex opp. Nel 96 al piano superiore ci stavano i volontari, mentre al piano terra c'era la sede del teatro dell'Accademia della Follia dove io ci lavoravo, e di Radio Fragola. La porta era sempre aperta, c'erano molte feste passavano volontari e pazienti e anche cittadini che avevano progetti da proporre. Oggi è una palazzina con porte chiuse che ha orari di ufficio. Al primo piano ora ci sono sedi di cooperative, al piano terra c'è radio Fragola e la Sartoria.
La foto d'epoca mi mostra delle donne nel primo del 900 penso fossero pazienti dell'ospedale e infermiere, sembra un luogo che esiste da poco. Nella foto a colori ci sono alberi e ciò mi dimostra il passaggio del tempo. Anche qui manca il segno del passaggio della rivoluzione basagliana. Da un p.d.v. emotivo il mio passaggio è stato cancellato; quello che ho fatto e quello che hanno fatto le persone nella rivoluzione basagliana, chi ha sofferto. E' stata cancellata un 'esperienza e un pezzo di storia. Non c'è nessuna memoria nelle strutture, nelle mure ristrutturate. “
Matteo: “ Dalle foto riconosco il padiglione M, che conserva le sue forme. Nella foto d'epoca è chiara la funzione dell'ex opp, vedo delle donne , sono delle pazienti alcune. Nella foto a colori non si capisce cosa è la struttura, è un luogo asettico, sterile, un luogo che non dice niente. So la funzione attuale di questo padiglione e di quelli che stanno attorno perchè ci lavoro. Ma se fossi un cittadino qualunque non c'è niente che mi faccia ricordare quello che c'è stato. “
Fabio: “ Sembra una di quelle palazzine affidate alla gestione dell'università, palazzina ristrutturata senza le ringhiere e le inferiate difficili da accettare per un essere umano. Sono strutture rivitalizzate. Nella foto in bianco e nero si nota le inferiate e l'aridità del contesto, non vedo fino adesso foto degli anni 60. “
Francesco: “ Non riconosco questa palazzina, ma dalla foto a colori riconosco il padiglione M dove c'è radio fragola. Nella foto d'epoca vedo le inferiate e molte persone, le internate; pochi alberi, vi è più cura per il caseggiato. Nella foto a colori vedo la cura del verde. “
Francesca S. : “ Anche qui vedo persone nella foto in bianco e nero, mentre nella foto a colori vedo il vuoto, non c'è nessuno, seppure la struttura e l'ambiente intorno pare ordinato, non conosco la struttura forse comunque siamo nella parte alta del parco. “
Boris: “ Questa struttura che è rimasta tale e quale come vedo dalle foto, è cambiato nel significato del suo contenuto, è il padiglione M, si chiamava ' le tranquille ' , la foto d'epoca mi mostra che le donne stavano fuori a prendere sole. Riconosco utenti e infermiere. I vestiti erano contenitivi, chiusi dietro. La foto attuale mi ricorda che ci sono le sedi delle cooperative e laboratori di sartoria, Radio Fragola, c'era anche Serigrafia ma è stata bruciata qualche anno fa. “
Aldo: “ Riconosco l' M dell'epoca e di adesso; dell'epoca vedo pazienti che prendono il sole e le infermiere, vedo delle suore e persone che forse sono parenti dei medici. Nella foto a colori vedo l' M ristrutturato da poco. Oggi c'è stato il funerale di Mariuccia un'infermiera storica che poi col tempo era diventata responsabile insieme a Carla del laboratorio di sartoria, dove ancora oggi vengono a lavorare diverse donne con vari tipi di disagi. Comunque negli anni 60-70 un po' prima della rivoluzione basagliana, Mariuccia appunto faceva l'infermiera in questo padiglione e c'erano circa 250 donne, le tranquille le chiamavano. Il padiglione non era riscaldato e c' era una sala da pranzo e la cucina dove da un buco uscivano i pranzi. Io ci ho lavorato negli anni 80 e nel padiglione c'erano solo tre utenti per stanza. Questi avevano una vita quasi normale, si occupavano di cucina e altri laboratori vari. L'M è stato uno degli ultimi padiglioni che ha chiuso cercando di dare dignità alle persone grazie agli spazi più aperti e meno affollati. “
Francesca: “ Dalle foto riconosco il padiglione M, in una foto lo rivedo completamente ristrutturato. E' il luogo che ho abitato di più nell'ex opp. Nel 96 al piano superiore ci stavano i volontari, mentre al piano terra c'era la sede del teatro dell'Accademia della Follia dove io ci lavoravo, e di Radio Fragola. La porta era sempre aperta, c'erano molte feste passavano volontari e pazienti e anche cittadini che avevano progetti da proporre. Oggi è una palazzina con porte chiuse che ha orari di ufficio. Al primo piano ora ci sono sedi di cooperative, al piano terra c'è radio Fragola e la Sartoria.
La foto d'epoca mi mostra delle donne nel primo del 900 penso fossero pazienti dell'ospedale e infermiere, sembra un luogo che esiste da poco. Nella foto a colori ci sono alberi e ciò mi dimostra il passaggio del tempo. Anche qui manca il segno del passaggio della rivoluzione basagliana. Da un p.d.v. emotivo il mio passaggio è stato cancellato; quello che ho fatto e quello che hanno fatto le persone nella rivoluzione basagliana, chi ha sofferto. E' stata cancellata un 'esperienza e un pezzo di storia. Non c'è nessuna memoria nelle strutture, nelle mure ristrutturate. “
Matteo: “ Dalle foto riconosco il padiglione M, che conserva le sue forme. Nella foto d'epoca è chiara la funzione dell'ex opp, vedo delle donne , sono delle pazienti alcune. Nella foto a colori non si capisce cosa è la struttura, è un luogo asettico, sterile, un luogo che non dice niente. So la funzione attuale di questo padiglione e di quelli che stanno attorno perchè ci lavoro. Ma se fossi un cittadino qualunque non c'è niente che mi faccia ricordare quello che c'è stato. “
Fabio: “ Sembra una di quelle palazzine affidate alla gestione dell'università, palazzina ristrutturata senza le ringhiere e le inferiate difficili da accettare per un essere umano. Sono strutture rivitalizzate. Nella foto in bianco e nero si nota le inferiate e l'aridità del contesto, non vedo fino adesso foto degli anni 60. “
Francesco: “ Non riconosco questa palazzina, ma dalla foto a colori riconosco il padiglione M dove c'è radio fragola. Nella foto d'epoca vedo le inferiate e molte persone, le internate; pochi alberi, vi è più cura per il caseggiato. Nella foto a colori vedo la cura del verde. “
Francesca S. : “ Anche qui vedo persone nella foto in bianco e nero, mentre nella foto a colori vedo il vuoto, non c'è nessuno, seppure la struttura e l'ambiente intorno pare ordinato, non conosco la struttura forse comunque siamo nella parte alta del parco. “
Trieste, 1920-30 Lavoro di un gruppo di donne all'opp dietro al padiglione P
Boris: “ Sembra dietro il P, negli anni 20 o forse anni 50, stanno mangiando o cuciono per hobby non per lavoro. Vedo la rete, chi urlava veniva sedato sul luogo . Negli 73 invece qui si è costruito Marco Cavallo. Il P si trova a metà del viale dopo il padiglione B. “
Aldo: “ Questa forse è la direzione , la parte interna? Non so forse è un padiglione che trovi sulla sinistra, che avevano questa corte interna con rete e pisciatoio. Forse è uno degli ultimi padiglioni rimasti con l'M, lo avranno chiuso nel 95 e la direzione è andata lì dopo. Era il periodo del gemellaggio con la Grecia a Salonicco dove si stava tentando di aprire il manicomio anche lì. Mi sembra stiano lavorando quelle donne “.
Francesca: “ Questo è un luogo che fatico a riconoscere, è una foto del primo 900, vedo donne che stanno lavorando, si vedono le infermiere e le degenti. Non riconosco il luogo, vedo le reti molto alte. “
Matteo: “ Qui siamo, non capisco, vedo un momento … non so se lavorano o mangiano. Lavorano vedo un cesto con panni e una macchina da cucire. Vedo donne degenti e le infermiere, capisco che c'è un'organizzazione dentro il manicomio. Siamo nella prima metà del 900, e penso che tra i pazienti chi era in grado lavorasse. La foto mi dà l'idea di un momento di condivisione. In questa foto sembra ci sia un bel momento tra le persone fotografate, non è la solita foto della sofferenza manicomiale. “
Fabio: “ Una foto che non ho mai visto, è significativa la rete a chiusura, l'impedimento fisico all'uscita. A 14 anni nel 79 mi ricordo i primi matti sul bus che vivevano nei gruppi appartamento, quindi è positivo quello che è successo negli anni 70 rispetto alla foto di allora. Mi sembrano che stanno lavorando a uncinetto. “
Francesco: “ Vedo una foto d'epoca, donne che cuciono, e ricamano, non c'è una unità di lavoro, è un padiglione femminile degli anni 20-30. I guardiani non si capiscono quali siano, anche se ci sono camici bianchi. “
Francesca S: “ Sono donne a cui credo stiano insegnando a fare dei lavori come per esempio cucire. La foto penso sia degli anni 30, noto le reti molto alte e si fatica a distinguere chi controlla chi . “
Boris: “ Sembra dietro il P, negli anni 20 o forse anni 50, stanno mangiando o cuciono per hobby non per lavoro. Vedo la rete, chi urlava veniva sedato sul luogo . Negli 73 invece qui si è costruito Marco Cavallo. Il P si trova a metà del viale dopo il padiglione B. “
Aldo: “ Questa forse è la direzione , la parte interna? Non so forse è un padiglione che trovi sulla sinistra, che avevano questa corte interna con rete e pisciatoio. Forse è uno degli ultimi padiglioni rimasti con l'M, lo avranno chiuso nel 95 e la direzione è andata lì dopo. Era il periodo del gemellaggio con la Grecia a Salonicco dove si stava tentando di aprire il manicomio anche lì. Mi sembra stiano lavorando quelle donne “.
Francesca: “ Questo è un luogo che fatico a riconoscere, è una foto del primo 900, vedo donne che stanno lavorando, si vedono le infermiere e le degenti. Non riconosco il luogo, vedo le reti molto alte. “
Matteo: “ Qui siamo, non capisco, vedo un momento … non so se lavorano o mangiano. Lavorano vedo un cesto con panni e una macchina da cucire. Vedo donne degenti e le infermiere, capisco che c'è un'organizzazione dentro il manicomio. Siamo nella prima metà del 900, e penso che tra i pazienti chi era in grado lavorasse. La foto mi dà l'idea di un momento di condivisione. In questa foto sembra ci sia un bel momento tra le persone fotografate, non è la solita foto della sofferenza manicomiale. “
Fabio: “ Una foto che non ho mai visto, è significativa la rete a chiusura, l'impedimento fisico all'uscita. A 14 anni nel 79 mi ricordo i primi matti sul bus che vivevano nei gruppi appartamento, quindi è positivo quello che è successo negli anni 70 rispetto alla foto di allora. Mi sembrano che stanno lavorando a uncinetto. “
Francesco: “ Vedo una foto d'epoca, donne che cuciono, e ricamano, non c'è una unità di lavoro, è un padiglione femminile degli anni 20-30. I guardiani non si capiscono quali siano, anche se ci sono camici bianchi. “
Francesca S: “ Sono donne a cui credo stiano insegnando a fare dei lavori come per esempio cucire. La foto penso sia degli anni 30, noto le reti molto alte e si fatica a distinguere chi controlla chi . “
Trieste, 1928-29 Padiglione Ralli, Istituto Pedagogico nell'Opp.
Boris: “ E' il Padiglione Ralli, il barone Ralli offrì i suoi servigi all'impero e donò questa struttura, dove i bambini potevano essere considerati matti. Se uno era vivace lo portavano lì. Quando sono entrato io a lavorare non c'era già più. Vedo tanti bambini e inservienti, non saprei dire l'anno esatto, è recente ? Mah ! “
Aldo: “ Non capisco dove siamo, ahn sono bambini nel padiglione Ralli, la parte di dietro, ora stanno ristrutturando tutto. Lì c'erano le persone di San Giacomo negli anni 70, forse anche Antonella e Livio S, è un bel palazzo, ma la sala da pranzo era al centro del palazzo e tu potevi diciamo controllare dall'alto quello che succedeva giù, come in un carcere. La foto mi sembra risalente agli anni 20, lì ci stavano i ragazzini abbandonati perchè un po' troppo vivaci, rimanendo lì impazzivi. “
Francesca: “ Anche questo è un luogo che non riconosco, è una foto del 900, sembrano bambini, e noto le reti, vedo bambini vestiti tutti uguali e infermieri, e vedo le sbarre. E' una foto impressionante, perchè se penso che anche i bambini venivano rinchiusi e vivevano lì per sempre mi vengono i brividi. Come si può pensare che si potesse parlare di cura rinchiudendo dei bambini? Non mi stupisco visto che oggi si dà il Ritalin ai bambini iperattivi e questo a distanza di 100 anni. Non siamo tornati ancora alla riapertura dei manicomi e penso siamo ancora ben lontani anche se a volte alcune forme di servizi psichiatrici o alcune attività al loro interno più legate all'ergoterapia, cioè legate ad un lavoro fine a se stesso, ci potrebbe fare pensare al contrario. “
Matteo: “ Dalla foto sembrano bambini, è un asilo? Mi dicevano che c'era un asilo nel parco, il periodo è prima del 900. E' un momento di gioco, ma è un asilo? Un ricreatorio? Sono grandi i bambini. O forse è una scuola, sono durante la ricreazione? E' comunque un momento ricreativo.
Trieste si è sempre rivolta al sociale. Si vede anche qui una certa organizzazione nelle strutture, non è una foto triste, non si parla di sofferenza. Mi dà la sensazione che se anche questo è uno spazio interno all'ex opp, è come se questi bambini fossero accolti dal quartiere di San Giovanni che ha sempre avuto la diceria, di essere il quartiere dei matti; sia perchè è vicino all'ex manicomio, sia perchè negli anni molti degenti hanno trovato casa nel quartiere. Tornando alla foto, ripeto sembrano bambini che giocano. “
Fabio: “ Quello che noto sono le grate alle finestre, le reti e tutti che sono vestiti uguali , sono uomini adulti. Mi immagino le persone che parlano da sole, hanno strane posture, non penso siano bambini. Tutte hanno le gonne, come se facessero i bisogni dove capitava. Rispetto ai matti che ho visto camminare per Trieste, mi rendo conto della dignità acquistata col tempo grazie alla legge Basaglia. “
Francesco: “ Dalla foto mi sembrano bambini in un campo giochi? Però vedo degli infermieri, forse c'è anche un prete. Però hanno tutti una stessa divisa, sembrano bambini che giocano, non riesco a collocare il posto dentro all'ex opp. Noto le recinzioni. Però in un posto come questo, anche se le recinzioni non ci sono fisicamente, sai che le stesse ci sono comunque. “
Francesca S. : “ Vedo anche qui una foto d'epoca, sempre del primo 900. Le persone sono ragazzini in età di scuola media, forse, il fatto che sono all' opp è perchè avevano vari disagi psichici, nessuno mi sembra particolarmente grave. Sembra stiano giocando. Penso che siano morti tutti all'interno dell'edificio. “
Boris: “ E' il Padiglione Ralli, il barone Ralli offrì i suoi servigi all'impero e donò questa struttura, dove i bambini potevano essere considerati matti. Se uno era vivace lo portavano lì. Quando sono entrato io a lavorare non c'era già più. Vedo tanti bambini e inservienti, non saprei dire l'anno esatto, è recente ? Mah ! “
Aldo: “ Non capisco dove siamo, ahn sono bambini nel padiglione Ralli, la parte di dietro, ora stanno ristrutturando tutto. Lì c'erano le persone di San Giacomo negli anni 70, forse anche Antonella e Livio S, è un bel palazzo, ma la sala da pranzo era al centro del palazzo e tu potevi diciamo controllare dall'alto quello che succedeva giù, come in un carcere. La foto mi sembra risalente agli anni 20, lì ci stavano i ragazzini abbandonati perchè un po' troppo vivaci, rimanendo lì impazzivi. “
Francesca: “ Anche questo è un luogo che non riconosco, è una foto del 900, sembrano bambini, e noto le reti, vedo bambini vestiti tutti uguali e infermieri, e vedo le sbarre. E' una foto impressionante, perchè se penso che anche i bambini venivano rinchiusi e vivevano lì per sempre mi vengono i brividi. Come si può pensare che si potesse parlare di cura rinchiudendo dei bambini? Non mi stupisco visto che oggi si dà il Ritalin ai bambini iperattivi e questo a distanza di 100 anni. Non siamo tornati ancora alla riapertura dei manicomi e penso siamo ancora ben lontani anche se a volte alcune forme di servizi psichiatrici o alcune attività al loro interno più legate all'ergoterapia, cioè legate ad un lavoro fine a se stesso, ci potrebbe fare pensare al contrario. “
Matteo: “ Dalla foto sembrano bambini, è un asilo? Mi dicevano che c'era un asilo nel parco, il periodo è prima del 900. E' un momento di gioco, ma è un asilo? Un ricreatorio? Sono grandi i bambini. O forse è una scuola, sono durante la ricreazione? E' comunque un momento ricreativo.
Trieste si è sempre rivolta al sociale. Si vede anche qui una certa organizzazione nelle strutture, non è una foto triste, non si parla di sofferenza. Mi dà la sensazione che se anche questo è uno spazio interno all'ex opp, è come se questi bambini fossero accolti dal quartiere di San Giovanni che ha sempre avuto la diceria, di essere il quartiere dei matti; sia perchè è vicino all'ex manicomio, sia perchè negli anni molti degenti hanno trovato casa nel quartiere. Tornando alla foto, ripeto sembrano bambini che giocano. “
Fabio: “ Quello che noto sono le grate alle finestre, le reti e tutti che sono vestiti uguali , sono uomini adulti. Mi immagino le persone che parlano da sole, hanno strane posture, non penso siano bambini. Tutte hanno le gonne, come se facessero i bisogni dove capitava. Rispetto ai matti che ho visto camminare per Trieste, mi rendo conto della dignità acquistata col tempo grazie alla legge Basaglia. “
Francesco: “ Dalla foto mi sembrano bambini in un campo giochi? Però vedo degli infermieri, forse c'è anche un prete. Però hanno tutti una stessa divisa, sembrano bambini che giocano, non riesco a collocare il posto dentro all'ex opp. Noto le recinzioni. Però in un posto come questo, anche se le recinzioni non ci sono fisicamente, sai che le stesse ci sono comunque. “
Francesca S. : “ Vedo anche qui una foto d'epoca, sempre del primo 900. Le persone sono ragazzini in età di scuola media, forse, il fatto che sono all' opp è perchè avevano vari disagi psichici, nessuno mi sembra particolarmente grave. Sembra stiano giocando. Penso che siano morti tutti all'interno dell'edificio. “
Franco Basaglia
Boris: “ Franchetto nostro, tranquillo, sereno. Lui era una persona ricca, avrebbe potuto fregarsene dei problemi sociali, invece no. Qui sta la sua grandezza, andò in Svezia e in Inghilterra. A Venezia, durante la seconda guerra mondiale fu messo in galera dai tedeschi, e condannato a morte, questo perchè credeva nell'uomo. Fu un ragazzo benestante universitario che lottò per la liberazione. Sento ancora gente che parla di riaprire i manicomi, nessuno sa la grandezza di quest'uomo che con coraggio ha saputo dire no ai manicomi in Italia e oggi non vengono più torturati più di 100000 persone in Italia.
Chi ha letto Basaglia tra i medici non fa più l'elettroshock fa nascere i Cim, per esempio nelle Filippine, in Austria. Basaglia diceva che bisognava parlare con la gente, i malati. E dare loro delle case non ' rinchiuderli '. Sono orgoglioso di aver lavorato per Basaglia per 30 anni e aver fatto quello che ho, che abbiamo fatto. La gente, la sua equipe era motivata, oggi molti medici guadagnano denaro facendo solo tickets. Non ci deve essere il fatto che quando finisco il mio orario di lavoro vado a casa, sopratutto se si lavora con gli uomini. “
Aldo: “ Questo è Franco Basaglia, l'ho visto poche volte, si facevano le riunioni di tutti i volontari. Mi ricordo una riunione fatta all'entrata principale del distretto 4, assistii ad uno scontro verbale con Rotelli, c'era un discorso politico e sul come rapportarsi con la città. Erano importanti le riunioni dove tirar fuori le contraddizioni, come era normale in un momento di cambiamento che stava avvenendo nell'ex opp e nella città. “
Francesca: “ Franco Basaglia, non ho molto da dire su di lui, appartengo alle persone che pensa che tutti conoscano Franco Basaglia. Ti racconto un episodio che mi è successo alla fine degli anni 90. Mi è capitato di fare un' intervento alla facoltà di Psicologia di Padova dando per scontato che gli studenti conoscessero Franco Basaglia, rimasi basita del fatto che non sapessero chi fosse, per me è stato scandaloso e anche 20 giorni fa mi è capitato di parlare con una ragazza di 30 anni che non conoscva Franco Basaglia, pur essendo nata in Friuli Venezia Giulia. E' strano che un pezzo di storia di questo paese sia stato cancellato dalla memoria collettiva, anche nella città che ha ospitato questa rivoluzione, eppure è così. “
Matteo: “ Questo è il ritratto di un uomo sorridente, Franco Basaglia. Ho conosciuto la sua figura verso i 19 anni, prima sentivo gli adulti parlare di lui. Basaglia veniva stigmatizzato, mi ricordo da bambino quando sentivo dire: “ Ahh quel sta male, va da Basaglia daiii ! “
Ho iniziato a leggere i suoi libri al terzo anno dell'università, primi anni 2000. Mi sono documentato allora, era chiamato: “ il dottore dei matti “. Penso fosse una persona decisa, animato da un'etica, e da una grande missione. Secondo me se vado in città con questa foto pochi lo riconoscono . A Trieste non si è mai visto una foto in giro di lui. Questa è la foto di un uomo che è stato , di un uomo che ci ha fatto vedere come attraverso una sensibilità umana e umanistica si possa togliere l'uomo stesso dalla tortura dell'essere rinchiuso. Egli ha lasciato un'eredità che però è diventata oggi d'intralcio.
Cioè cosa ne facciamo dei suoi insegnamenti, fin dove si può seguire la sua utopia. Utopia che ha avuto anche dei limiti, che non so se derivino più dal progetto e dal pensiero basagliani o se in realtà il problema è stato più politico. Trieste è stata ingrata con Franco Basaglia. “
Fabio: “ Non so chi è , forse Basaglia, dal ghigno mi ricorda un personaggio matto che vedo girare a Trieste. Il sorriso sornione ricalca il sorriso di un malato di mente in generale. Mi ricorda la diceria alla fine degli anni 70, ero ragazzino: “ El fa uscir i mati da San Giovani ! “ Dopo ho scoperto in realtà che i più gravi ancora vivono in casette protette, sono più liberi, ma vivono all'interno dell'ex opp. A distanza di 30 anni penso che lui abbia fatto un enorme lavoro. Molti matti vivono in appartamenti, c'è stato un risparmio che non mantenere una struttura delle dimensioni dell'ex manicomio. Non l'ho mai conosciuto. Noi cittadini ci siamo ritrovati in città con i matti che giravano per Trieste e penso non sia mai successo niente a livello di violenza o sicurezza una volta aperto il manicomio. “
Francesco: “ E' Franco Basaglia, lui ha avuto coraggio, chi non lo conosce a Trieste, lui è famoso come quello che ha liberato i matti. Basaglia ha umanizzato i malati di mente grazie anche alla legge 180. E' stata una persona lungimirante anche se poi il fatto di aprire, la risposta di trovare altri spazi è venuta più tardi. Lui rappresenta una idea di libertà, è un bel esempio considerando che ci sono paesi molto civilizzati che hanno ancora i manicomi aperti. Basaglia è stato e sarà ancora un esempio. “
Francesca S. : “ Non so chi sia, non riesco a ricordare il volto, sembra una buona persona che dà serenità. Tutto qui, ma se mi chiedi chi è non saprei dirti, è una foto di fine anni 70, vero ? “
Boris: “ Franchetto nostro, tranquillo, sereno. Lui era una persona ricca, avrebbe potuto fregarsene dei problemi sociali, invece no. Qui sta la sua grandezza, andò in Svezia e in Inghilterra. A Venezia, durante la seconda guerra mondiale fu messo in galera dai tedeschi, e condannato a morte, questo perchè credeva nell'uomo. Fu un ragazzo benestante universitario che lottò per la liberazione. Sento ancora gente che parla di riaprire i manicomi, nessuno sa la grandezza di quest'uomo che con coraggio ha saputo dire no ai manicomi in Italia e oggi non vengono più torturati più di 100000 persone in Italia.
Chi ha letto Basaglia tra i medici non fa più l'elettroshock fa nascere i Cim, per esempio nelle Filippine, in Austria. Basaglia diceva che bisognava parlare con la gente, i malati. E dare loro delle case non ' rinchiuderli '. Sono orgoglioso di aver lavorato per Basaglia per 30 anni e aver fatto quello che ho, che abbiamo fatto. La gente, la sua equipe era motivata, oggi molti medici guadagnano denaro facendo solo tickets. Non ci deve essere il fatto che quando finisco il mio orario di lavoro vado a casa, sopratutto se si lavora con gli uomini. “
Aldo: “ Questo è Franco Basaglia, l'ho visto poche volte, si facevano le riunioni di tutti i volontari. Mi ricordo una riunione fatta all'entrata principale del distretto 4, assistii ad uno scontro verbale con Rotelli, c'era un discorso politico e sul come rapportarsi con la città. Erano importanti le riunioni dove tirar fuori le contraddizioni, come era normale in un momento di cambiamento che stava avvenendo nell'ex opp e nella città. “
Francesca: “ Franco Basaglia, non ho molto da dire su di lui, appartengo alle persone che pensa che tutti conoscano Franco Basaglia. Ti racconto un episodio che mi è successo alla fine degli anni 90. Mi è capitato di fare un' intervento alla facoltà di Psicologia di Padova dando per scontato che gli studenti conoscessero Franco Basaglia, rimasi basita del fatto che non sapessero chi fosse, per me è stato scandaloso e anche 20 giorni fa mi è capitato di parlare con una ragazza di 30 anni che non conoscva Franco Basaglia, pur essendo nata in Friuli Venezia Giulia. E' strano che un pezzo di storia di questo paese sia stato cancellato dalla memoria collettiva, anche nella città che ha ospitato questa rivoluzione, eppure è così. “
Matteo: “ Questo è il ritratto di un uomo sorridente, Franco Basaglia. Ho conosciuto la sua figura verso i 19 anni, prima sentivo gli adulti parlare di lui. Basaglia veniva stigmatizzato, mi ricordo da bambino quando sentivo dire: “ Ahh quel sta male, va da Basaglia daiii ! “
Ho iniziato a leggere i suoi libri al terzo anno dell'università, primi anni 2000. Mi sono documentato allora, era chiamato: “ il dottore dei matti “. Penso fosse una persona decisa, animato da un'etica, e da una grande missione. Secondo me se vado in città con questa foto pochi lo riconoscono . A Trieste non si è mai visto una foto in giro di lui. Questa è la foto di un uomo che è stato , di un uomo che ci ha fatto vedere come attraverso una sensibilità umana e umanistica si possa togliere l'uomo stesso dalla tortura dell'essere rinchiuso. Egli ha lasciato un'eredità che però è diventata oggi d'intralcio.
Cioè cosa ne facciamo dei suoi insegnamenti, fin dove si può seguire la sua utopia. Utopia che ha avuto anche dei limiti, che non so se derivino più dal progetto e dal pensiero basagliani o se in realtà il problema è stato più politico. Trieste è stata ingrata con Franco Basaglia. “
Fabio: “ Non so chi è , forse Basaglia, dal ghigno mi ricorda un personaggio matto che vedo girare a Trieste. Il sorriso sornione ricalca il sorriso di un malato di mente in generale. Mi ricorda la diceria alla fine degli anni 70, ero ragazzino: “ El fa uscir i mati da San Giovani ! “ Dopo ho scoperto in realtà che i più gravi ancora vivono in casette protette, sono più liberi, ma vivono all'interno dell'ex opp. A distanza di 30 anni penso che lui abbia fatto un enorme lavoro. Molti matti vivono in appartamenti, c'è stato un risparmio che non mantenere una struttura delle dimensioni dell'ex manicomio. Non l'ho mai conosciuto. Noi cittadini ci siamo ritrovati in città con i matti che giravano per Trieste e penso non sia mai successo niente a livello di violenza o sicurezza una volta aperto il manicomio. “
Francesco: “ E' Franco Basaglia, lui ha avuto coraggio, chi non lo conosce a Trieste, lui è famoso come quello che ha liberato i matti. Basaglia ha umanizzato i malati di mente grazie anche alla legge 180. E' stata una persona lungimirante anche se poi il fatto di aprire, la risposta di trovare altri spazi è venuta più tardi. Lui rappresenta una idea di libertà, è un bel esempio considerando che ci sono paesi molto civilizzati che hanno ancora i manicomi aperti. Basaglia è stato e sarà ancora un esempio. “
Francesca S. : “ Non so chi sia, non riesco a ricordare il volto, sembra una buona persona che dà serenità. Tutto qui, ma se mi chiedi chi è non saprei dirti, è una foto di fine anni 70, vero ? “
Trieste, marzo 1973, Laboratorio P, Marco Cavallo esce dal manicomio.
Boris: “ Mi sembra la prima uscita di Marco Cavallo, non ricordo se è il 1975 o il 1973, mi ricordo che avevo il cappotto sarà stato marzo, aprile. C'era freddo. Vedo il viale grande e la scalinata, Marco Cavallo usciva dal laboratorio P. Ricordo il problema, delle reti basse, e Marco non ci passava e allora con una panchina lo stesso Basaglia, qui c'è la sua grandezza, e altri operatori, hanno aperto un varco; con la panchina hanno proprio sfondato le reti, ci sono delle foto storiche in giro che raccontano questo. La prima volta penso sia andato a San Vito, un quartiere, nella parte alta di Trieste vicino a San Giusto. Mi ricordo che siamo andati a Roma nel 81 dopo la morte di Basaglia con Rotelli, abbiamo portato Marco Cavallo al Pantheon e fu portato con un camion. C'è una leggenda che dice che a Roma Marco Cavallo è stato bruciato da una squadra di fascisti, chissà, forse quello che oggi “ vive “ nella direzione generale è una copia. Mi ricordo tutta la piazza del Pantheon piena. “
Aldo: “ Questo è il primo Marco Cavallo? I vestiti sono dell'epoca il 75 o il 73, siamo nella discesa dell' ex opp.
Non mi sono vissuto tutta la fase dell'apertura, il primo Reseau e gli altri incontri. Sono arrivato che già tutto era avvenuto. Mi sono perso tutta quella fase lì, mi dispiace di non esserci stato. “
Francesca: “ Questa è una foto degli anni 70, c'è il simbolo dell'apertura del manicomio di Trieste: “ Marco Cavallo “, è una foto bellissima. Non ho mai capito perchè è stato scelto l'azzurro come colore del Cavallo. E' bello l'abbigliamento delle persone non si capisce chi sono gli utenti e le persone normali e i psichiatri, è un gruppo di persone, il popolo. Mi sembra siamo fuori dall'ex opp. No, siamo sulla discesa, vedo la scalinata. Quelli erano anni di rivoluzioni tra cui appunto la rivoluzione basagliana di cui il simbolo è Marco Cavallo “.
Matteo: “ Questa è una foto di un corteo, siamo nel 78, penso , siamo dentro l'ex opp, vedo le scale sullo sfondo. Vedo degenti e persone che vengono da fuori, degli attivisti, gli autonomi. Il simbolo della rivoluzione basagliana : Marco Cavallo, entriamo nell'ambito politico, vedo una bandiera rossa e una con la freccia. Non parliamo più solo di saperi medici ma anche politici, questo è un corteo che festeggia la chiusura del manicomio. La figura principale è la figura di Marco Cavallo, tutto iniziò con dei disegni, ho letto delle filastrocche di Scabia. In questi disegni i degenti disegnavano un cavallo e dentro ci mettevano i loro desideri, so perchè ho letto il libro di Scabia. Oggi Marco Cavallo è misconosciuto, non c'è più la memoria, è un simbolo rimasto dentro un luogo molto simbolico. Credo che avrebbe dovuto trovare un'altra collocazione anche al di fuori dell'ex opp perchè mi sembra rimasto in una situazione autoreferenziale, in un contesto che di per sé parla da solo. Trieste fatica a riconoscere Marco Cavallo, una storia che è meglio dimenticare, non sapere, nascondere. Marco Cavallo, Basaglia sono rimasti simboli che non rimandano a nient'altro perchè la gente non sa cosa sono. “
Fabio: “ Per me è una foto ignota. Non saprei dove siamo, ma penso nel vialone, vedo la scalinata dietro. Mi viene da pensare al periodo dell'integrazione negli anni 60-70, delle persone attraverso la creatività, che vengono inseriti nella società attraverso il lavoro manuale. Vedo questo cavallo non so di che materiale è. “
Francesco: “ Questo è una foto di Marco Cavallo, penso che siamo nella metà degli anni 70, è stato uno degli esperimenti per coinvolgere la cittadinanza ad entrare, questo è il problema se sei dentro hai paura di uscire, e chi è fuori non entra. So che fece scalpore, per sentito dire e coinvolse non solo i pazienti ma anche gli intellettuali italiani, mi sarebbe piaciuto esserci. “
Francesca S. : “ La foto mi sembra degli anni 70. E' la statua di Marco Cavallo, l'ho vista due mesi fa mentre veniva riportata a Trieste dopo un 'esposizione a Gorizia.“
Boris: “ Mi sembra la prima uscita di Marco Cavallo, non ricordo se è il 1975 o il 1973, mi ricordo che avevo il cappotto sarà stato marzo, aprile. C'era freddo. Vedo il viale grande e la scalinata, Marco Cavallo usciva dal laboratorio P. Ricordo il problema, delle reti basse, e Marco non ci passava e allora con una panchina lo stesso Basaglia, qui c'è la sua grandezza, e altri operatori, hanno aperto un varco; con la panchina hanno proprio sfondato le reti, ci sono delle foto storiche in giro che raccontano questo. La prima volta penso sia andato a San Vito, un quartiere, nella parte alta di Trieste vicino a San Giusto. Mi ricordo che siamo andati a Roma nel 81 dopo la morte di Basaglia con Rotelli, abbiamo portato Marco Cavallo al Pantheon e fu portato con un camion. C'è una leggenda che dice che a Roma Marco Cavallo è stato bruciato da una squadra di fascisti, chissà, forse quello che oggi “ vive “ nella direzione generale è una copia. Mi ricordo tutta la piazza del Pantheon piena. “
Aldo: “ Questo è il primo Marco Cavallo? I vestiti sono dell'epoca il 75 o il 73, siamo nella discesa dell' ex opp.
Non mi sono vissuto tutta la fase dell'apertura, il primo Reseau e gli altri incontri. Sono arrivato che già tutto era avvenuto. Mi sono perso tutta quella fase lì, mi dispiace di non esserci stato. “
Francesca: “ Questa è una foto degli anni 70, c'è il simbolo dell'apertura del manicomio di Trieste: “ Marco Cavallo “, è una foto bellissima. Non ho mai capito perchè è stato scelto l'azzurro come colore del Cavallo. E' bello l'abbigliamento delle persone non si capisce chi sono gli utenti e le persone normali e i psichiatri, è un gruppo di persone, il popolo. Mi sembra siamo fuori dall'ex opp. No, siamo sulla discesa, vedo la scalinata. Quelli erano anni di rivoluzioni tra cui appunto la rivoluzione basagliana di cui il simbolo è Marco Cavallo “.
Matteo: “ Questa è una foto di un corteo, siamo nel 78, penso , siamo dentro l'ex opp, vedo le scale sullo sfondo. Vedo degenti e persone che vengono da fuori, degli attivisti, gli autonomi. Il simbolo della rivoluzione basagliana : Marco Cavallo, entriamo nell'ambito politico, vedo una bandiera rossa e una con la freccia. Non parliamo più solo di saperi medici ma anche politici, questo è un corteo che festeggia la chiusura del manicomio. La figura principale è la figura di Marco Cavallo, tutto iniziò con dei disegni, ho letto delle filastrocche di Scabia. In questi disegni i degenti disegnavano un cavallo e dentro ci mettevano i loro desideri, so perchè ho letto il libro di Scabia. Oggi Marco Cavallo è misconosciuto, non c'è più la memoria, è un simbolo rimasto dentro un luogo molto simbolico. Credo che avrebbe dovuto trovare un'altra collocazione anche al di fuori dell'ex opp perchè mi sembra rimasto in una situazione autoreferenziale, in un contesto che di per sé parla da solo. Trieste fatica a riconoscere Marco Cavallo, una storia che è meglio dimenticare, non sapere, nascondere. Marco Cavallo, Basaglia sono rimasti simboli che non rimandano a nient'altro perchè la gente non sa cosa sono. “
Fabio: “ Per me è una foto ignota. Non saprei dove siamo, ma penso nel vialone, vedo la scalinata dietro. Mi viene da pensare al periodo dell'integrazione negli anni 60-70, delle persone attraverso la creatività, che vengono inseriti nella società attraverso il lavoro manuale. Vedo questo cavallo non so di che materiale è. “
Francesco: “ Questo è una foto di Marco Cavallo, penso che siamo nella metà degli anni 70, è stato uno degli esperimenti per coinvolgere la cittadinanza ad entrare, questo è il problema se sei dentro hai paura di uscire, e chi è fuori non entra. So che fece scalpore, per sentito dire e coinvolse non solo i pazienti ma anche gli intellettuali italiani, mi sarebbe piaciuto esserci. “
Francesca S. : “ La foto mi sembra degli anni 70. E' la statua di Marco Cavallo, l'ho vista due mesi fa mentre veniva riportata a Trieste dopo un 'esposizione a Gorizia.“
Trieste 1973 marzo, Laboratorio "P" - il corteo di Marco cavallo: festa in piazza - Giuliano Scabia all'altoparlante ; il cantastorie.
Boris: “ Quello col megafono è un dottore, forse. Non capisco se siamo dentro o fuori, siamo negli anni 70, ah! Quello col megafono è Scabia, un educatore e regista di documentari. Non ho mai capito perchè è blu il cavallo. So che è stato fatto al P, io andai anni dopo a portare degli utenti per fare pittura o scultura di carta pesta. Comunque la foto è stata fatta fuori sembra un campo di basket e vedo delle case attorno. “
Aldo: “ Questo deve essere il cantastorie Scabia, ho fatto un'uscita con lui e Marco Cavallo a Barcola facendo il giro del rione, era il 77-78. Dalla foto siamo fuori dall'opp. “
Francesca: “ Ancora Marco Cavallo , siamo fuori dall'opp, vedo un canestro, e il cantastorie che racconta cosa succede , mi dà proprio l'idea di apertura verso la gente, riconosco Scabia col megafono, molto giovane, e vedo delle finestre di case ma non saprei dire dove siamo a Trieste. “
Matteo: “ Non riconosco chi è quello col megafono, mi sembra che siamo fuori dall'ex opp in un ricreatorio, è un comizio, le porte sono spalancate, e sembra che l'ex manicomio appartenga alla cittadinanza. Sembra una giornata di festa, la gente è attenta, sembra che la follia non sia più un tabù. “
Fabio: “ Vedo un canestro, forse è un campo di calcio quello di San Giovanni, l'elemento azzurro è fuori dall'ex opp, quindi c'è la testimonianza del fatto che chi è malato non è comunque un criminale, il tipo col megafono mi fa venire in mente le contestazioni, quindi siamo nel 78, periodo in cui io incrociavo i matti per Trieste. “
Francesco: “ Questa è un'altra immagine di Marco Cavallo, mi sembra dentro all'ex opp, non so chi è quello col megafono, vedo molta gente vecchia e giovane. Ma forse siamo fuori dall'ex opp non so dove siamo, vedo molta partecipazione. “
Francesca S. : “ Credo sia una manifestazione attinente ai cambiamenti nella psichiatria. La foto penso sia degli anni '70, penso che siamo fuori dalla struttura manicomiale, vedo un canestro e delle finestre di case fuori dalle reti, non so chi sia quello col megafono. “
Boris: “ Quello col megafono è un dottore, forse. Non capisco se siamo dentro o fuori, siamo negli anni 70, ah! Quello col megafono è Scabia, un educatore e regista di documentari. Non ho mai capito perchè è blu il cavallo. So che è stato fatto al P, io andai anni dopo a portare degli utenti per fare pittura o scultura di carta pesta. Comunque la foto è stata fatta fuori sembra un campo di basket e vedo delle case attorno. “
Aldo: “ Questo deve essere il cantastorie Scabia, ho fatto un'uscita con lui e Marco Cavallo a Barcola facendo il giro del rione, era il 77-78. Dalla foto siamo fuori dall'opp. “
Francesca: “ Ancora Marco Cavallo , siamo fuori dall'opp, vedo un canestro, e il cantastorie che racconta cosa succede , mi dà proprio l'idea di apertura verso la gente, riconosco Scabia col megafono, molto giovane, e vedo delle finestre di case ma non saprei dire dove siamo a Trieste. “
Matteo: “ Non riconosco chi è quello col megafono, mi sembra che siamo fuori dall'ex opp in un ricreatorio, è un comizio, le porte sono spalancate, e sembra che l'ex manicomio appartenga alla cittadinanza. Sembra una giornata di festa, la gente è attenta, sembra che la follia non sia più un tabù. “
Fabio: “ Vedo un canestro, forse è un campo di calcio quello di San Giovanni, l'elemento azzurro è fuori dall'ex opp, quindi c'è la testimonianza del fatto che chi è malato non è comunque un criminale, il tipo col megafono mi fa venire in mente le contestazioni, quindi siamo nel 78, periodo in cui io incrociavo i matti per Trieste. “
Francesco: “ Questa è un'altra immagine di Marco Cavallo, mi sembra dentro all'ex opp, non so chi è quello col megafono, vedo molta gente vecchia e giovane. Ma forse siamo fuori dall'ex opp non so dove siamo, vedo molta partecipazione. “
Francesca S. : “ Credo sia una manifestazione attinente ai cambiamenti nella psichiatria. La foto penso sia degli anni '70, penso che siamo fuori dalla struttura manicomiale, vedo un canestro e delle finestre di case fuori dalle reti, non so chi sia quello col megafono. “
Svuotamento dei padiglioni anni 70, Trieste.
Boris: “ Questo è il padiglione B chiamato “ Corea “, un reparto di tre piani, c'erano i violenti, più di 150 utenti, con 21 infermieri. C'è una scritta , siamo negli anni 70-80, oggi c'è la scuola slovena, anche se è dismessa da un po' di anni. Poi vedo le gabbie dove i matti prendevano aria. Il B era il fulcro dell'ex opp per gli uomini degenti, il Q era quello delle donne, si lavavano le persone con le pompe anche quando sono arrivato io. Ricordo il reparto dei sudici, io ho lavorato pochi giorni, c'erano persone down e chi si faceva tutto addosso, e tu là dalla mattina alla sera a lavarli o lavare i pavimenti. “
Aldo: “ Siamo dopo il 77 , vedo una scritta, tutte le scritte sono del primo Reseau. Il padiglione è l'ex B, oggi c'è la scuola slovena. La struttura era fatiscente, mi ricordo che per valutare l'agibilità del padiglione sono stati messi dei bidoni per vedere la tenuta dei terrazzi. Era uno dei peggio reparti il B e anche il Q. Qui lavavano le persone con la pompa. “
Francesca: “ Non riconosco la palazzina forse è il Sert, penso agli anni 70 per le scritte, la rivoluzione basagliana si è inserita in una trasformazione che riguardava tutti gli ambiti; politici e culturali. Penso al movimento femminista. Dalla scritta: “ Non Abitato “ viene fuori che era un luogo di contenzione che non era più abitato, la palazzina è stata chiusa e le persone forse sono andate a vivere in città. “
Matteo: “ Forse questo era un padiglione femminile, dalle scritte mi sembra così. La foto è della fine degli anni 70. Oggi è una scuola, siamo vicini al Sert. Non è più abitato, finalmente. C'è un discorso femminista con un messaggio politico, etico. Siamo nel periodo pieno delle femministe in Italia. L'istituzione non è più abitata, non ci sono più esseri umani relegati. Si parla di un riconoscimento delle donne nella società. E' una foto che mi fa mettere un punto di domanda, cioè adesso cosa si fa(?). Dobbiamo ricostruire un senso, sembra una foto attuale perchè ci chiede, ci fa capire che le cose non sono andate come voleva Basaglia. Questa foto disorienta, perchè è vero che il manicomio non è più abitato, ma ora cosa fare? “
Fabio: “ E' significativa la scritta della foto che mi fa pensare che il manicomio è aperto, mi sembra come la leva militare, che poiché non è più obbligatoria, le caserme si sono svuotate. Uno spazio vuoto diventa uno spazio che deperisce , una volta che il manicomio chiude, ci si chiede cosa si fa del manicomio, siamo vicino al Sert. E' una foto degli anni 70 vedendo le scritte femministe. “
Francesco: “ Della foto mi colpisce la scritta femminista e il Non Abitato che rende la foto molto poetica, il padiglione è all'interno dell'Opp. La foto sembra degli anni 90, le scritte sono fatte dagli stessi internati, andrebbero preservate. “
Francesca S: “ La scritta su “ Pane e Rose “ credo derivi da movimenti post 68, mentre la prima parte è più legata alla semantica cattolica. La scritta: “ Non Abitato “ dà l'idea che neanche i due slogan siano più vivi. “ La foto sembra degli anni 70 inoltrati ma potrebbe essere anche degli anni 90. “
Boris: “ Questo è il padiglione B chiamato “ Corea “, un reparto di tre piani, c'erano i violenti, più di 150 utenti, con 21 infermieri. C'è una scritta , siamo negli anni 70-80, oggi c'è la scuola slovena, anche se è dismessa da un po' di anni. Poi vedo le gabbie dove i matti prendevano aria. Il B era il fulcro dell'ex opp per gli uomini degenti, il Q era quello delle donne, si lavavano le persone con le pompe anche quando sono arrivato io. Ricordo il reparto dei sudici, io ho lavorato pochi giorni, c'erano persone down e chi si faceva tutto addosso, e tu là dalla mattina alla sera a lavarli o lavare i pavimenti. “
Aldo: “ Siamo dopo il 77 , vedo una scritta, tutte le scritte sono del primo Reseau. Il padiglione è l'ex B, oggi c'è la scuola slovena. La struttura era fatiscente, mi ricordo che per valutare l'agibilità del padiglione sono stati messi dei bidoni per vedere la tenuta dei terrazzi. Era uno dei peggio reparti il B e anche il Q. Qui lavavano le persone con la pompa. “
Francesca: “ Non riconosco la palazzina forse è il Sert, penso agli anni 70 per le scritte, la rivoluzione basagliana si è inserita in una trasformazione che riguardava tutti gli ambiti; politici e culturali. Penso al movimento femminista. Dalla scritta: “ Non Abitato “ viene fuori che era un luogo di contenzione che non era più abitato, la palazzina è stata chiusa e le persone forse sono andate a vivere in città. “
Matteo: “ Forse questo era un padiglione femminile, dalle scritte mi sembra così. La foto è della fine degli anni 70. Oggi è una scuola, siamo vicini al Sert. Non è più abitato, finalmente. C'è un discorso femminista con un messaggio politico, etico. Siamo nel periodo pieno delle femministe in Italia. L'istituzione non è più abitata, non ci sono più esseri umani relegati. Si parla di un riconoscimento delle donne nella società. E' una foto che mi fa mettere un punto di domanda, cioè adesso cosa si fa(?). Dobbiamo ricostruire un senso, sembra una foto attuale perchè ci chiede, ci fa capire che le cose non sono andate come voleva Basaglia. Questa foto disorienta, perchè è vero che il manicomio non è più abitato, ma ora cosa fare? “
Fabio: “ E' significativa la scritta della foto che mi fa pensare che il manicomio è aperto, mi sembra come la leva militare, che poiché non è più obbligatoria, le caserme si sono svuotate. Uno spazio vuoto diventa uno spazio che deperisce , una volta che il manicomio chiude, ci si chiede cosa si fa del manicomio, siamo vicino al Sert. E' una foto degli anni 70 vedendo le scritte femministe. “
Francesco: “ Della foto mi colpisce la scritta femminista e il Non Abitato che rende la foto molto poetica, il padiglione è all'interno dell'Opp. La foto sembra degli anni 90, le scritte sono fatte dagli stessi internati, andrebbero preservate. “
Francesca S: “ La scritta su “ Pane e Rose “ credo derivi da movimenti post 68, mentre la prima parte è più legata alla semantica cattolica. La scritta: “ Non Abitato “ dà l'idea che neanche i due slogan siano più vivi. “ La foto sembra degli anni 70 inoltrati ma potrebbe essere anche degli anni 90. “
La libertà è terapeutica
Boris: “ E' una frase di Basaglia riscritta sulla facciata della direzione generale che si trova all'inizio dell'ex opp, dipinta da Ugo Guarino, un pittore che veniva spesso là da noi, molti erano gli artisti che si interessavano alla trasformazione del manicomio, alla sua chiusura. E Guarino aveva fatto delle installazioni che si chiamavano : “ I testimoni “. Lui aveva girato per i padiglioni e con gli oggetti delle palazzine aveva fatto degli ominidi abbastanza alti, non so dove sono finiti. Di questa frase dico che l'uomo non ha bisogno di terapia ma la libertà è fondamentale per l'uomo, la libertà non è allegra e gioiosa ma dignitosa e buona. Questo periodo per me non è stato un periodo di rivoluzione ma un periodo di trasformazione cioè abbiamo ' ricostruito ' la dignità della persona. Gli anni 70 non sono stati gli anni di piombo per me ma gli anni in cui la gente alzava la testa e Basaglia ha permesso ai matti di farlo, ritrovando la propria libertà attraverso la propria dignità .“
Aldo: “ Questa è una scritta che si trovava nel palazzo giù in fondo al viale, dopo l'entrata. La frase esprime tutto il lavoro fatto nella chiusura del manicomio. Se vai in un qualsiasi manicomio vedi la gente che perde ogni umanità: chiede le sigarette, gira con un sacchetto di cellophane dove hanno dentro le poche cose che a loro servono. Mancano, perdendo di dignità . “
Francesca: “ Questo è uno slogan che più spesso ho visto nelle varie palazzine dell'ex opp. E' uno slogan efficace che sintetizza l'essenza del cambiamento portato da Basaglia. La palazzina è la direzione generale che troviamo nella parte bassa del parco. La foto è degli anni 70. Oggi penso sia stata cancellata. Ecco questa è una scritta che si doveva mantenere per la memoria. “
Matteo: “ Anche io sono d'accordo con la scritta, penso che la libertà deve essere terapeutica e devi saperne cosa fare. E' una frase che si dovrebbe conservare nella memoria della gente. E' importante comunque la consapevolezza prima della libertà. La libertà comunque è una terapia che deve esser prescritta a tutti. La libertà crea l'autonomia della persona e la sua dignità. “
Fabio: “ Questo era uno slogan utilizzato all'epoca e che quindi chi vive in mezzo alla gente sta meglio, diciamo guarisce. La frase mi fa pensare anche ad un'altra cosa e cioè che in molti casi venivano internate persone sane che non c'entravano con la malattia mentale. “
Francesco: “ Questa è una frase di Basaglia, scritta nella direzione generale, scritta in un palazzo di età classica dove dentro c'erano dottori, la frase mi dice che la libertà stia dentro più che fuori. La sensazione che ho quando vado all'ex opp è di disagio è una sensazione di uscire dentro o entrare fuori. “
Francesca S.: “ Probabilmente questa scritta non è stata fatta da persone direttamente coinvolte ma da soggetti impegnati politicamente che sono entrati solo dopo in questa realtà. Il concetto di libertà è proprio di individui che non ne vivono la privazione. Questa foto penso sia di fine anni 70. “
Boris: “ E' una frase di Basaglia riscritta sulla facciata della direzione generale che si trova all'inizio dell'ex opp, dipinta da Ugo Guarino, un pittore che veniva spesso là da noi, molti erano gli artisti che si interessavano alla trasformazione del manicomio, alla sua chiusura. E Guarino aveva fatto delle installazioni che si chiamavano : “ I testimoni “. Lui aveva girato per i padiglioni e con gli oggetti delle palazzine aveva fatto degli ominidi abbastanza alti, non so dove sono finiti. Di questa frase dico che l'uomo non ha bisogno di terapia ma la libertà è fondamentale per l'uomo, la libertà non è allegra e gioiosa ma dignitosa e buona. Questo periodo per me non è stato un periodo di rivoluzione ma un periodo di trasformazione cioè abbiamo ' ricostruito ' la dignità della persona. Gli anni 70 non sono stati gli anni di piombo per me ma gli anni in cui la gente alzava la testa e Basaglia ha permesso ai matti di farlo, ritrovando la propria libertà attraverso la propria dignità .“
Aldo: “ Questa è una scritta che si trovava nel palazzo giù in fondo al viale, dopo l'entrata. La frase esprime tutto il lavoro fatto nella chiusura del manicomio. Se vai in un qualsiasi manicomio vedi la gente che perde ogni umanità: chiede le sigarette, gira con un sacchetto di cellophane dove hanno dentro le poche cose che a loro servono. Mancano, perdendo di dignità . “
Francesca: “ Questo è uno slogan che più spesso ho visto nelle varie palazzine dell'ex opp. E' uno slogan efficace che sintetizza l'essenza del cambiamento portato da Basaglia. La palazzina è la direzione generale che troviamo nella parte bassa del parco. La foto è degli anni 70. Oggi penso sia stata cancellata. Ecco questa è una scritta che si doveva mantenere per la memoria. “
Matteo: “ Anche io sono d'accordo con la scritta, penso che la libertà deve essere terapeutica e devi saperne cosa fare. E' una frase che si dovrebbe conservare nella memoria della gente. E' importante comunque la consapevolezza prima della libertà. La libertà comunque è una terapia che deve esser prescritta a tutti. La libertà crea l'autonomia della persona e la sua dignità. “
Fabio: “ Questo era uno slogan utilizzato all'epoca e che quindi chi vive in mezzo alla gente sta meglio, diciamo guarisce. La frase mi fa pensare anche ad un'altra cosa e cioè che in molti casi venivano internate persone sane che non c'entravano con la malattia mentale. “
Francesco: “ Questa è una frase di Basaglia, scritta nella direzione generale, scritta in un palazzo di età classica dove dentro c'erano dottori, la frase mi dice che la libertà stia dentro più che fuori. La sensazione che ho quando vado all'ex opp è di disagio è una sensazione di uscire dentro o entrare fuori. “
Francesca S.: “ Probabilmente questa scritta non è stata fatta da persone direttamente coinvolte ma da soggetti impegnati politicamente che sono entrati solo dopo in questa realtà. Il concetto di libertà è proprio di individui che non ne vivono la privazione. Questa foto penso sia di fine anni 70. “
Svuotamento dei reparti anni 70, Trieste.
Boris: “ Sono letti dismessi, i famosi letti del manicomio in ghisa o in ferro. Ma è un magazzino?
Mi ricordo un letto di contenzione alto, in ferro, il letto a rete con uno spago grosso, senza materasso e poi il camerino, dove si mettevano le persone agitate. Vedo una porta senza maniglia, è proprio l'idea dell'abbandono. “
Aldo: “ Siamo nella fase delle dismissioni delle palazzine. Quando è venuto Basaglia la prima cosa che ha fatto rispetto alle stanze è stato quello di comprare per ogni paziente un comodino e un armadio. Le persone non avevano nemmeno la possibilità di tenere un pettine. Basaglia ha dato di nuovo alle persone la proprietà delle cose, quindi per esempio, che ognuno potesse avere il proprio vestito, quando invece i vestiti venivano dati alle persone prendendoli da un magazzino e senza considerare una taglia adeguata alla persona. “
Francesca: “ Questo è un interno dell'ospedale psichiatrico, forse siamo in un periodo che definisce l'apertura dell'ospedale dell'ex opp., ma potrebbe essere anche una stanza non curata quando esisteva ancora l'opp. Riconosco i letti, le reti, la porta chiusa senza maniglia e i muri bianchi. “
Matteo: “ Questa potrebbe essere la foto di un manicomio esistente o che è stato chiuso . Nel primo caso si vede incuria mancanza di igiene, nel secondo caso potrebbe essere l'abbandono del manicomio. Nel primo caso sembra ci sia inumanità, estremo disagio. Potrebbe essere anche la foto di un manicomio chiuso, forse è stata fatta apposta per evidenziare la chiusura del manicomio. Noto la porta senza maniglia da dove non si può uscire. “
Fabio: “ La foto mi parla di letti vuoti, la stanza è pulita, mi vengono in mente la coercizione nei confronti degli anziani. Gli anziani potrebbero essere paragonati ai matti. L'idea della coercizione va combattuta. Quando in televisione i media parlano di come sconfiggere le coercizioni in alcuni manicomi o case di riposo che ancora funzionano in alcune città italiane non considerano mai cosa ha fatto Basaglia anzi viene criticato. Bisogna starci attenti e non dimenticare ma ricordare per non fare gli stessi errori. “
Francesco: “ In questa foto vedo dei letti, brande, mi dà l'idea di libertà, perchè gli utenti se ne sono andati, mi chiedo se la foto è spontanea diciamo o è stata costruita. Noto la porta senza maniglia, ma appunto per come sono stati sistemati i letti la foto è stata costruita. “
Francesca S. : “ Questa foto mi sembra “ messa in posa “ a favore dell'obiettivo. Ho la sensazione che l'apertura dell'istituto sia stata nella realtà meno scenografica di come viene rappresentata. “
Boris: “ Sono letti dismessi, i famosi letti del manicomio in ghisa o in ferro. Ma è un magazzino?
Mi ricordo un letto di contenzione alto, in ferro, il letto a rete con uno spago grosso, senza materasso e poi il camerino, dove si mettevano le persone agitate. Vedo una porta senza maniglia, è proprio l'idea dell'abbandono. “
Aldo: “ Siamo nella fase delle dismissioni delle palazzine. Quando è venuto Basaglia la prima cosa che ha fatto rispetto alle stanze è stato quello di comprare per ogni paziente un comodino e un armadio. Le persone non avevano nemmeno la possibilità di tenere un pettine. Basaglia ha dato di nuovo alle persone la proprietà delle cose, quindi per esempio, che ognuno potesse avere il proprio vestito, quando invece i vestiti venivano dati alle persone prendendoli da un magazzino e senza considerare una taglia adeguata alla persona. “
Francesca: “ Questo è un interno dell'ospedale psichiatrico, forse siamo in un periodo che definisce l'apertura dell'ospedale dell'ex opp., ma potrebbe essere anche una stanza non curata quando esisteva ancora l'opp. Riconosco i letti, le reti, la porta chiusa senza maniglia e i muri bianchi. “
Matteo: “ Questa potrebbe essere la foto di un manicomio esistente o che è stato chiuso . Nel primo caso si vede incuria mancanza di igiene, nel secondo caso potrebbe essere l'abbandono del manicomio. Nel primo caso sembra ci sia inumanità, estremo disagio. Potrebbe essere anche la foto di un manicomio chiuso, forse è stata fatta apposta per evidenziare la chiusura del manicomio. Noto la porta senza maniglia da dove non si può uscire. “
Fabio: “ La foto mi parla di letti vuoti, la stanza è pulita, mi vengono in mente la coercizione nei confronti degli anziani. Gli anziani potrebbero essere paragonati ai matti. L'idea della coercizione va combattuta. Quando in televisione i media parlano di come sconfiggere le coercizioni in alcuni manicomi o case di riposo che ancora funzionano in alcune città italiane non considerano mai cosa ha fatto Basaglia anzi viene criticato. Bisogna starci attenti e non dimenticare ma ricordare per non fare gli stessi errori. “
Francesco: “ In questa foto vedo dei letti, brande, mi dà l'idea di libertà, perchè gli utenti se ne sono andati, mi chiedo se la foto è spontanea diciamo o è stata costruita. Noto la porta senza maniglia, ma appunto per come sono stati sistemati i letti la foto è stata costruita. “
Francesca S. : “ Questa foto mi sembra “ messa in posa “ a favore dell'obiettivo. Ho la sensazione che l'apertura dell'istituto sia stata nella realtà meno scenografica di come viene rappresentata. “
Riflessioni: Qual è stato l'impatto su Trieste e i suoi cittadini dell'apertura dell'Ospedale Provinciale Psichiatrico ? Perchè non c'è una via o una piazza dedicate a Basaglia? Qualcuno vorrebbe addirittura ri-aprire il manicomio cioè rimetterlo in funzione.
Boris: “ Penso che oggi molti si lamentano dei Cim, del fatto che i matti sono fuori. Quando è stato aperto il manicomio c'era una piccola percentuale che non era d'accordo e una grossa fetta di popolazione che diceva: “ Vedremo”, quindi fondamentalmente non c'è stata una risposta netta e positiva del cittadino triestino. Il “Vedremo” in realtà è stato positivo perché alla fine i matti sono stati accettati. Il problema è che la gente non tollera la violenza, nella realtà la violenza nei matti è bassissima. Se il matto non è violento non c'è problema se cammina per città. Forse la città si lamenta che i Cim non funzionano bene. Si è voluto creare un élite di giovani medici e infermieri e non ci hanno permesso di fare il passaggio tra vecchi e nuovi. Comunque ripeto al triestino medio non interessa che il matto torni in manicomio se non è violento.”
Aldo: “ Penso sia stato tutto una questione politica, Basaglia ha trovato un giovane illuminato politico della Dc, presidente della Provincia, Zanetti, che gli ha dato questa possibilità cosa che non era riuscito a fare con giunte di sinistra. C'è da fare dei distinguo perchè l'apertura dei manicomi, la legge 180, la rivoluzione basagliana sono tutte partite dal basso e queste cose hanno evidenziato l'inutilità dei manicomi. Rispetto ad intitolare una via , Basaglia è un nervo scoperto, l'ospedale psichiatrico, esiste ancora in altre forme, esiste l'ospedale giudiziario. Ci sono affari dietro ai manicomi e alle istituzionalizzazioni in genere. La sinistra ha sbagliato perchè sempre si è incagliata nelle correnti senza prendere in mano realmente le cose. Una cosa fondamentale, in Italia è che non si possono costruire manicomi grazie alla legge 180; la via e la piazza sono il problema minore. “
Francesca: “ Guardando le foto ho la sensazione che non c'è la memoria di ciò che ha fatto Basaglia.
E' rimasto un pezzo del pavimento del vecchio manicomio nella sede della seconda direzione generale. I mobili di Villas sono spariti, tutto è diventato Ikea, tutto è asettico, informe. Non c'è memoria dentro all'ex opp. In questo modo non c'è memoria nemmeno tra la gente comune, o addirittura chi studia certi ambiti legati alla psichiatria o alla psicologia. Se nemmeno all'università si sa chi è Basaglia, come si può pensare di dedicare una via al medico che ha aperto i manicomi in Italia? Se si cancella la memoria c'è il pericolo vero che la cosa si possa ripetere, ecco perchè qualcuno ancora dice . “ Riapriamo i manicomi “. La memoria è stata cancellata, e se la stessa viene appunto dimenticata si fatica a ricordare un passato così pieno di sofferenza, diventa più facile poi ripetere gli errori. La storia insegna. “
Matteo: “ Ricordo da bambino quando si diceva: “ Si veste come Basaglia ! “, cioè si veste come un matto. E' come se questa figura di un grande medico fosse diventato un matto, uso dispregiativo del suo nome, cioè era considerato il dottore dei matti, capisci! Tutto ciò pur avendo, questa città, un legame forte con la follia. La psicanalisi arriva in Italia, prima a Trieste. A Trieste quando devi dire: “ Quella persona... “ in dialetto si dice, in senso affettuoso anche : “ El mato el vien doman... “. Trieste è anche una città di vecchi che sembrano interessati agli altri, ma in realtà è una città debole, fragile. E' una città ostile perchè schizofrenica con identità deboli e forti. A livello popolare, intorno ai matti si è formata indifferenza. Dell'ex opp si sa sempre troppo poco e così di Basaglia. Egli è rimasto una figura troppo settoriale. Ecco perchè non c'è una via dedicata a lui. Trieste è stata ingrata con Basaglia . Penso che la sua rivoluzione sia stata incompleta, ci sono stati risvolti positivi, ma in realtà non so quanti strumenti noi uomini e figure professionali che lavorano oggi sul campo abbiamo per completare questa rivoluzione. Penso alla sensibilità che manca anche fra la gente comune, resta paradossalmente una città imbevuta di disagio, che dovrebbe avvicinare la gente a chi è in difficoltà. E' una città di matti, talmente matti che scambiano un medico per un matto. “
Fabio: “ All'epoca c'era molta paura perchè si pensava che i matti una volta fuori sarebbero stati violenti, avrebbero fatto i loro bisogni ovunque, questo era l'immaginario, la paura che aleggiava allora tra i triestini. Invece c'è stata, non dico un' integrazione, ma i matti vivevano nelle case famiglia o in gruppi appartamento. Non ci sono stati casi di violenza o un aumento della criminalità, in realtà l'esperienza di Basaglia mi fa venire in mente che alcuni tipi di ospedalizzazione, vedi la maternità negli anni 60, è stata considerata un fatto sanitario, in realtà nel momento in cui ci si accorge dei troppi costi che una maternità comporta si sta passando al parto domestico. Se non ci fossero state le due guerre mondiali e Trieste fosse rimasta austriaca, l'impatto della rivoluzione basagliana sarebbe stato maggiore. C'è da dire che dopo la fine della seconda guerra mondiale, Trieste è tornata ad essere contadina con l'inserimento degli esuli e degli istriani: un corpo che non era eticamente e culturalmente pronto per accogliere questo cambiamento politico-sociale. Basaglia ha anticipato i tempi in modo oculato senza aprire indiscriminatamente quindi poi tutto sommato la città assorbì allora questi cambiamenti che a tutt'oggi quasi nessuno si domanda: “ Dove i sta i matti? “. L'integrazione è comunque un'altra cosa. Non è facile dedicare una piazza o una via a Basaglia, è più semplice come impatto emotivo dedicare una via a Crovatin o Grilz, reporters morti uno a Sarajevo e l'altro in Afghanistan. Basaglia era fuori tempo a Trieste, era troppo avanti con le sue idee, se fosse vissuto nel 15 o nel 20 avrebbe avuto i suoi onori lui fece un passo più avanti rispetto a Freud perchè non curava la psiche in sè ma la malattia della psiche vedendola come una normalità possibile. Il fatto di aprire i manicomi, come qualcuno vorrebbe ancora, per chiudere dentro i matti? Chi lo stabilisce chi è matto o no? Qual è il concetto di sanità mentale? Forse a parte i casi estremi di schizofrenia o violenza che possono mettere a repentaglio la comunità, è la comunità che deve prendersi carico di queste persone senza decidere che chi è matto deve stare rinchiuso. “
Francesco: “ Secondo me, Basaglia è stato dimenticato dalla cittadinanza e dalla comunità scientifica, forse in parte rivalutato seppur superato. Se non ci fosse stato lui ad iniziare un certo percorso, non saremmo neanche qua a parlarne. Dal p.d.v popolare, Basaglia è considerato come quello che ha aperto i manicomi ma secondo me non c'è un vero e proprio giudizio della gente comune di Trieste. Sta nell'animo triestino capire alcune sfumature di un carattere come potevano essere quelle di un matto, è per questo che Basaglia ha aperto qui il manicomio, trovava un punto di appoggio per la sua rivoluzione. Il triestino medio non ha mai stigmatizzato la figura del matto perchè le classiche “ macchiette “ triestine ci sono sempre state. Secondo me il fatto che non esista una via a Trieste dedicata a Basaglia è più colpa delle autorità, e dell'ottusità politica triestina e italiana che non vogliono dare importanza a certe figure. E' il peso che ha avuto nella storia, che forse risulta scomodo. Hanno dedicato una via con due numeri civici ad Amerigo Grilz un reporter freelance che aveva velleità fasciste. E chi lo conosce tranne che a Trieste? “
Francesca S.: “A Trieste ho notato una forte promiscuità tra la malattia mentale e la vita quotidiana. In altre città la distinzione è più netta, mentre qui “il matto” fa parte del tessuto sociale e non viene notato più di tanto. Sicuramente in parte deriva dalla tendenza nordica a non mistificare la malattia, ma viverla come parte normale della vita; oltre ovviamente al necessario cambiamento sociale derivato dall'apertura dei manicomi. Che alcuni cittadini, innervositi da altre situazioni, sfoghino le proprie frustrazioni sulla diversità, proponendo per esempio di rinchiudere i malati, la vedo una reazione abbastanza comune nei nostri tempi: i malati, gli stranieri, tutte le fasce deboli sono viste come causa dei propri problemi, non mi stupisce. Penso tuttavia che la totale libertà concessa ai malati sia di conforto ai sani che possono vedere se stessi come delle figure evolute e progressiste, ma metta in pericolo gli stessi malati, che possono finire vittime di molte situazioni negative.
Penso che non esistano luoghi dedicati a Basaglia perchè non credo sia visto come un personaggio eroico, o un esempio da seguire, ma solo come un medico che ha pensato di fare una cosa che non è socialmente considerata come assolutamente e totalmente giusta. “
Boris: “ Penso che oggi molti si lamentano dei Cim, del fatto che i matti sono fuori. Quando è stato aperto il manicomio c'era una piccola percentuale che non era d'accordo e una grossa fetta di popolazione che diceva: “ Vedremo”, quindi fondamentalmente non c'è stata una risposta netta e positiva del cittadino triestino. Il “Vedremo” in realtà è stato positivo perché alla fine i matti sono stati accettati. Il problema è che la gente non tollera la violenza, nella realtà la violenza nei matti è bassissima. Se il matto non è violento non c'è problema se cammina per città. Forse la città si lamenta che i Cim non funzionano bene. Si è voluto creare un élite di giovani medici e infermieri e non ci hanno permesso di fare il passaggio tra vecchi e nuovi. Comunque ripeto al triestino medio non interessa che il matto torni in manicomio se non è violento.”
Aldo: “ Penso sia stato tutto una questione politica, Basaglia ha trovato un giovane illuminato politico della Dc, presidente della Provincia, Zanetti, che gli ha dato questa possibilità cosa che non era riuscito a fare con giunte di sinistra. C'è da fare dei distinguo perchè l'apertura dei manicomi, la legge 180, la rivoluzione basagliana sono tutte partite dal basso e queste cose hanno evidenziato l'inutilità dei manicomi. Rispetto ad intitolare una via , Basaglia è un nervo scoperto, l'ospedale psichiatrico, esiste ancora in altre forme, esiste l'ospedale giudiziario. Ci sono affari dietro ai manicomi e alle istituzionalizzazioni in genere. La sinistra ha sbagliato perchè sempre si è incagliata nelle correnti senza prendere in mano realmente le cose. Una cosa fondamentale, in Italia è che non si possono costruire manicomi grazie alla legge 180; la via e la piazza sono il problema minore. “
Francesca: “ Guardando le foto ho la sensazione che non c'è la memoria di ciò che ha fatto Basaglia.
E' rimasto un pezzo del pavimento del vecchio manicomio nella sede della seconda direzione generale. I mobili di Villas sono spariti, tutto è diventato Ikea, tutto è asettico, informe. Non c'è memoria dentro all'ex opp. In questo modo non c'è memoria nemmeno tra la gente comune, o addirittura chi studia certi ambiti legati alla psichiatria o alla psicologia. Se nemmeno all'università si sa chi è Basaglia, come si può pensare di dedicare una via al medico che ha aperto i manicomi in Italia? Se si cancella la memoria c'è il pericolo vero che la cosa si possa ripetere, ecco perchè qualcuno ancora dice . “ Riapriamo i manicomi “. La memoria è stata cancellata, e se la stessa viene appunto dimenticata si fatica a ricordare un passato così pieno di sofferenza, diventa più facile poi ripetere gli errori. La storia insegna. “
Matteo: “ Ricordo da bambino quando si diceva: “ Si veste come Basaglia ! “, cioè si veste come un matto. E' come se questa figura di un grande medico fosse diventato un matto, uso dispregiativo del suo nome, cioè era considerato il dottore dei matti, capisci! Tutto ciò pur avendo, questa città, un legame forte con la follia. La psicanalisi arriva in Italia, prima a Trieste. A Trieste quando devi dire: “ Quella persona... “ in dialetto si dice, in senso affettuoso anche : “ El mato el vien doman... “. Trieste è anche una città di vecchi che sembrano interessati agli altri, ma in realtà è una città debole, fragile. E' una città ostile perchè schizofrenica con identità deboli e forti. A livello popolare, intorno ai matti si è formata indifferenza. Dell'ex opp si sa sempre troppo poco e così di Basaglia. Egli è rimasto una figura troppo settoriale. Ecco perchè non c'è una via dedicata a lui. Trieste è stata ingrata con Basaglia . Penso che la sua rivoluzione sia stata incompleta, ci sono stati risvolti positivi, ma in realtà non so quanti strumenti noi uomini e figure professionali che lavorano oggi sul campo abbiamo per completare questa rivoluzione. Penso alla sensibilità che manca anche fra la gente comune, resta paradossalmente una città imbevuta di disagio, che dovrebbe avvicinare la gente a chi è in difficoltà. E' una città di matti, talmente matti che scambiano un medico per un matto. “
Fabio: “ All'epoca c'era molta paura perchè si pensava che i matti una volta fuori sarebbero stati violenti, avrebbero fatto i loro bisogni ovunque, questo era l'immaginario, la paura che aleggiava allora tra i triestini. Invece c'è stata, non dico un' integrazione, ma i matti vivevano nelle case famiglia o in gruppi appartamento. Non ci sono stati casi di violenza o un aumento della criminalità, in realtà l'esperienza di Basaglia mi fa venire in mente che alcuni tipi di ospedalizzazione, vedi la maternità negli anni 60, è stata considerata un fatto sanitario, in realtà nel momento in cui ci si accorge dei troppi costi che una maternità comporta si sta passando al parto domestico. Se non ci fossero state le due guerre mondiali e Trieste fosse rimasta austriaca, l'impatto della rivoluzione basagliana sarebbe stato maggiore. C'è da dire che dopo la fine della seconda guerra mondiale, Trieste è tornata ad essere contadina con l'inserimento degli esuli e degli istriani: un corpo che non era eticamente e culturalmente pronto per accogliere questo cambiamento politico-sociale. Basaglia ha anticipato i tempi in modo oculato senza aprire indiscriminatamente quindi poi tutto sommato la città assorbì allora questi cambiamenti che a tutt'oggi quasi nessuno si domanda: “ Dove i sta i matti? “. L'integrazione è comunque un'altra cosa. Non è facile dedicare una piazza o una via a Basaglia, è più semplice come impatto emotivo dedicare una via a Crovatin o Grilz, reporters morti uno a Sarajevo e l'altro in Afghanistan. Basaglia era fuori tempo a Trieste, era troppo avanti con le sue idee, se fosse vissuto nel 15 o nel 20 avrebbe avuto i suoi onori lui fece un passo più avanti rispetto a Freud perchè non curava la psiche in sè ma la malattia della psiche vedendola come una normalità possibile. Il fatto di aprire i manicomi, come qualcuno vorrebbe ancora, per chiudere dentro i matti? Chi lo stabilisce chi è matto o no? Qual è il concetto di sanità mentale? Forse a parte i casi estremi di schizofrenia o violenza che possono mettere a repentaglio la comunità, è la comunità che deve prendersi carico di queste persone senza decidere che chi è matto deve stare rinchiuso. “
Francesco: “ Secondo me, Basaglia è stato dimenticato dalla cittadinanza e dalla comunità scientifica, forse in parte rivalutato seppur superato. Se non ci fosse stato lui ad iniziare un certo percorso, non saremmo neanche qua a parlarne. Dal p.d.v popolare, Basaglia è considerato come quello che ha aperto i manicomi ma secondo me non c'è un vero e proprio giudizio della gente comune di Trieste. Sta nell'animo triestino capire alcune sfumature di un carattere come potevano essere quelle di un matto, è per questo che Basaglia ha aperto qui il manicomio, trovava un punto di appoggio per la sua rivoluzione. Il triestino medio non ha mai stigmatizzato la figura del matto perchè le classiche “ macchiette “ triestine ci sono sempre state. Secondo me il fatto che non esista una via a Trieste dedicata a Basaglia è più colpa delle autorità, e dell'ottusità politica triestina e italiana che non vogliono dare importanza a certe figure. E' il peso che ha avuto nella storia, che forse risulta scomodo. Hanno dedicato una via con due numeri civici ad Amerigo Grilz un reporter freelance che aveva velleità fasciste. E chi lo conosce tranne che a Trieste? “
Francesca S.: “A Trieste ho notato una forte promiscuità tra la malattia mentale e la vita quotidiana. In altre città la distinzione è più netta, mentre qui “il matto” fa parte del tessuto sociale e non viene notato più di tanto. Sicuramente in parte deriva dalla tendenza nordica a non mistificare la malattia, ma viverla come parte normale della vita; oltre ovviamente al necessario cambiamento sociale derivato dall'apertura dei manicomi. Che alcuni cittadini, innervositi da altre situazioni, sfoghino le proprie frustrazioni sulla diversità, proponendo per esempio di rinchiudere i malati, la vedo una reazione abbastanza comune nei nostri tempi: i malati, gli stranieri, tutte le fasce deboli sono viste come causa dei propri problemi, non mi stupisce. Penso tuttavia che la totale libertà concessa ai malati sia di conforto ai sani che possono vedere se stessi come delle figure evolute e progressiste, ma metta in pericolo gli stessi malati, che possono finire vittime di molte situazioni negative.
Penso che non esistano luoghi dedicati a Basaglia perchè non credo sia visto come un personaggio eroico, o un esempio da seguire, ma solo come un medico che ha pensato di fare una cosa che non è socialmente considerata come assolutamente e totalmente giusta. “
Conclusioni
I 7 soggetti intervistati hanno visualizzato le foto e le hanno esplorate partendo sopratutto dai loro vissuti personali e lavorativi, nel caso della prima parte della ricerca, vedi: Boris, Aldo, Francesca e Matteo. Tenendo presente le loro reazioni emotive derivanti dalle immagini legate in particolar modo alla seconda parte ( le 6 foto riguardanti Basaglia, Marco Cavallo e lo svuotamento del manicomio ) si è potuto constatare come i luoghi comuni nel loro caso non esistano ma esista in modo più determinante quella che è la loro idea politica e sociale rispetto al cambiamento e all'impatto che ha avuto l'apertura del manicomio e la conseguente legge Basaglia. Rispetto a Fabio, Francesco e in parte Francesca S, non essendo stati coinvolti direttamente come Boris e Aldo, erano gli anni 70, o come Francesca e Matteo che hanno lavorato con ruoli diversi tra la metà degli anni 90 e gli anni 2000, si può constatare come il loro vissuto sia più influenzato e influenzabile dall'immaginario che si ha del matto e del manicomio e non tanto dal coinvolgimento diretto. Questo li porta ad avere una visione e una idea completamente diversa da chi invece ci ha lavorato per 8 anni in periodi diversi o per più di 30 anni. Fabio, Francesco e Francesca S., sopratutto i primi due, sono coinvolti dal cambiamento e dalla trasformazione da manicomio a parco come cittadini e subiscono la legge Basaglia e l'apertura del manicomio come un qualcosa che da immaginario negativo diventa una realtà propositiva e positiva fatta di dignità per i malati e di un nuovo slancio per la città seppur con qualche titubanza e chiusura nei confronti della malattia e del matto. Prima è il manicomio che si chiude e la città è aperta, poi la città si chiude e il manicomio si apre.
Gli intervistati focalizzandosi su alcuni elementi all'interno delle immagini hanno messo in luce ciò che erano stati come infermiere, volontario, adolescente, ragazzino, attrice durante la gestione Usl, e quindi attraverso le foto hanno ricordato parte della loro storia come persone e ruolo professionale evidenziando le loro emozioni grazie anche alla polisemia delle immagini. Gli intervistati hanno poi avuto la sensazione di camminare con gli occhi dentro l'ex opp come in una cronistoria che li ha coinvolti in una 'passeggiata del passato' nel parco.
I 7 soggetti intervistati hanno visualizzato le foto e le hanno esplorate partendo sopratutto dai loro vissuti personali e lavorativi, nel caso della prima parte della ricerca, vedi: Boris, Aldo, Francesca e Matteo. Tenendo presente le loro reazioni emotive derivanti dalle immagini legate in particolar modo alla seconda parte ( le 6 foto riguardanti Basaglia, Marco Cavallo e lo svuotamento del manicomio ) si è potuto constatare come i luoghi comuni nel loro caso non esistano ma esista in modo più determinante quella che è la loro idea politica e sociale rispetto al cambiamento e all'impatto che ha avuto l'apertura del manicomio e la conseguente legge Basaglia. Rispetto a Fabio, Francesco e in parte Francesca S, non essendo stati coinvolti direttamente come Boris e Aldo, erano gli anni 70, o come Francesca e Matteo che hanno lavorato con ruoli diversi tra la metà degli anni 90 e gli anni 2000, si può constatare come il loro vissuto sia più influenzato e influenzabile dall'immaginario che si ha del matto e del manicomio e non tanto dal coinvolgimento diretto. Questo li porta ad avere una visione e una idea completamente diversa da chi invece ci ha lavorato per 8 anni in periodi diversi o per più di 30 anni. Fabio, Francesco e Francesca S., sopratutto i primi due, sono coinvolti dal cambiamento e dalla trasformazione da manicomio a parco come cittadini e subiscono la legge Basaglia e l'apertura del manicomio come un qualcosa che da immaginario negativo diventa una realtà propositiva e positiva fatta di dignità per i malati e di un nuovo slancio per la città seppur con qualche titubanza e chiusura nei confronti della malattia e del matto. Prima è il manicomio che si chiude e la città è aperta, poi la città si chiude e il manicomio si apre.
Gli intervistati focalizzandosi su alcuni elementi all'interno delle immagini hanno messo in luce ciò che erano stati come infermiere, volontario, adolescente, ragazzino, attrice durante la gestione Usl, e quindi attraverso le foto hanno ricordato parte della loro storia come persone e ruolo professionale evidenziando le loro emozioni grazie anche alla polisemia delle immagini. Gli intervistati hanno poi avuto la sensazione di camminare con gli occhi dentro l'ex opp come in una cronistoria che li ha coinvolti in una 'passeggiata del passato' nel parco.